TERZA DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

Giuseppe Orelli, secolo XVII, Gesù caccia i mercanti dal tempio, Chiesa di San Pietro, Scanzorosciate
La terza parola della nostra Quaresima (dopo «deserto» e «bellezza») sembrerebbe evidente: è il «tempio». Senonché, nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, il significato di questa parola sembra continuamente mutare e assumere una valenza sempre più interiore e personale. Il primo riferimento certo è al tempio di Gerusalemme, un luogo ben definito, geografico e storico, in cui risiede il cuore indiscusso della fede ebraica: lì ci si reca per celebrare la Pasqua, e così fa anche Gesù, ma poi, giunto nel tempio, egli si comporta in un modo sconcertante: è la famosa scena della cacciata dei venditori dal tempio. Gesù sostiene che il tempio è la casa di Dio, ma gli uomini l’hanno trasformato in un mercato. Ora la polemica di Gesù va ben oltre il piano che potremmo chiamare commerciale. Era inevitabile che ci fossero quei “negozi” fuori dal tempio (come oggi è inevitabile che ci sia il negozio dei ricordi fuori dai santuari o dalle basiliche): chi doveva offrire in sacrificio una pecora, una colomba o un bue non poteva certo portarselo da casa; doveva comprarlo lì al tempio, ma l’unica moneta accettata era il siclo, perché non portava alcuna effigie di imperatori, e quindi i cambiamonete erano indispensabili. Ciò che Gesù in realtà sferza con la sua frusta di cordicelle è la mentalità che guida questo mercato e che lascia intendere che Dio si possa comprare con qualcosa, che sia una moneta, una sacrificio… oggi diremmo, una bella offerta o una candela! Gesù cacciando i venditori dal tempio vuole in realtà togliere fondamento ad una religiosità del dare-avere che è lungi dall’essere soppiantata nel cuore dell’uomo. Non è raro che il rapporto con Dio venga vissuto alla stregua di un rapporto obbligazionario, in cui, ad un versamento, debba corrispondere un utile proporzionato e senza eccessivi rischi: e se Dio è insolvente, allora lo si abbandona!
I Giudei si scandalizzano del gesto di Gesù e, con la loro domanda – «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» – conducono Gesù stesso ad un approfondimento del discorso. Il vero luogo in cui avviene l’incontro tra Dio e l’uomo è Gesù stesso, tempio che gli uomini hanno distrutto ma che il Padre ha fatto risorgere. Il tempio di Erode in cui Gesù pronuncia le sue parole non era ancora stato inaugurato e continuamente veniva abbellito e arricchito, ma venne poi distrutto da un incendio in una sola notte! «Ma egli parlava del tempio del suo corpo», così annota l’evangelista Giovanni, che era a conoscenza sia della risurrezione di Gesù avvenuta nel 30 d.C. sia della distruzione del tempio avvenuta nel 70 d.C.
Che cosa significa che è Gesù Cristo il vero tempio? Significa fondamentalmente che la vera fede non ha bisogno di localizzazioni geografiche o storiche, ma ha come unico riferimento il corpo di Gesù, morto e risorto e vivo in mezzo a noi. Quindi, le parole di Gesù non vogliono annullare la storicità di Dio, ma sostituire alle pietre di questo o quel tempio la carne risorta di Cristo che continua ad essere presente in mezzo a noi. Dove? Come? Anche in questa chiesa ove Gesù si rende presente nell’Eucaristia, ma comunque in ogni luogo ove Gesù si rende presente nella carne di un fratello o di una sorella bisognosi del nostro aiuto. La carità è fatta con le nostre mani che si congiungono nella preghiera e con le stesse mani che si disciolgono per prodigarsi nelle opere della misericordia e della solidarietà. E poi c’è il nostro cuore, che è il tempio in cui Gesù vuole continuare a dimorare: se noi gli facciamo spazio, questa chiesa o la casa in cui dimoriamo con la nostra famiglia o l’aula di scuola o il luogo del lavoro diventano la Sua presenza.