OTTAVA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A
«Non preoccupatevi!». Torna quattro volte questo monito di Gesù nella pagina evangelica appena ascoltata. Gesù invita a non preoccuparsi di tutte quelle cose per cui noi, invece, ci affanniamo: «di quello che mangerete o berrete… per il vostro corpo… di quello che indosserete». E la frase forse più amara pronunciata da Gesù è questa: «Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?». L’affanno non ha garanzie di successo, è un investimento al buio. Guardate le sfilate di moda: raggiungono un risultato che non scalfisce minimamente la bellezza senza affanno dei gigli del campo e il vestito dell’erba del campo è un risultato sontuoso raggiunto senza il minimo sforzo, che non sia l’affidarsi al corso naturale della vita. Perché questo è lo scopo del discorso di Gesù. Non certo svalutare il lavoro umano, quanto metterlo al posto giusto, quale mezzo per raggiungere un fine che resta nella luce della Provvidenza divina. Non è, quello di Gesù, un invito a non essere operosi, a non seminare, a non mietere e a non raccogliere nei granai. Non siamo di fronte ad un inno alla pigrizia. Il Signore Gesù ci vuole operosi, dediti all’occupazione, ma non schiavi della preoccupazione. Se fossimo onesti, dovremmo riconoscere che la fatica delle nostre giornate non è dovuta tanto al lavoro quanto all’affanno con cui lavoriamo. La parola stessa – preoccuparsi – dice che c’è qualcosa che noi mettiamo prima dell’operare, qualcosa che cova nella nostra mente e ci affanna, tanto che, poi, l’operare costa maggiore fatica. E questa fatica, creata da noi, disarticola la bellezza originaria che è presente anche nel fare. Ecco perché il giglio del campo è vestito meglio di Salomone: non c’è nel fiore alcuna preoccupazione di usare il vestito come richiamo dell’apparire esteriore, ma solo la fiducia in ciò che Dio lascia trasparire. Il corpo nell’uomo e nella donna è questa trasparenza di Dio, ma l’affanno per il corpo – inteso, poi, secondo canoni di una bellezza proclamata naturale ma in realtà artificiosamente costruita – è il modo sicuro per realizzare l’opacità del corpo. La vera sfida è affidarsi, non affannarsi: questo è il messaggio di Gesù, che è di un’attualità sconcertante. Le parole del profeta Isaia sono, da questo punto di vista, illuminanti: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai». Dio offre il fondamento dell’affidarsi a Lui. Il suo amore è preveniente e totale come quello che una madre nutre nei confronti del figlio formatosi nel suo grembo. Paradossalmente, se anche esistesse una madre che si dimentica del suo bambino, Dio è una madre che non si dimenticherà mai di nessuno dei suoi figli. La Bibbia usa proprio l’immagine del bimbo in braccio a sua madre per definire la sicurezza di colui che si affida a Dio: «Signore, non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi, né meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia» (Sal 131). Il protagonista di questo salmo non è il neonato che cerca naturalmente la madre, ma il bambino già svezzato che va a cercarla ancora. È importante capire questo, perché è ovvio che non possiamo essere naturalmente liberi come i gigli del campo. Noi siamo bambini «svezzati», cioè dobbiamo affidarci a Dio con una scelta compiuta dalla nostra volontà. La Provvidenza si sperimenta, una volta trovato il coraggio di abbandonare gli appigli dei nostri affanni. Finché restiamo preoccupati, cioè attaccati a quei pensieri che rendono faticose le nostre occupazioni, ci risulta difficile sperimentare la serenità che il bimbo svezzato trova ancora tra le braccia di sua madre. San Paolo mette in evidenza un’altra importante conseguenza di questo atteggiamento di affidamento in Dio: l’uomo si libera da ogni giudizio umano, sia positivo che negativo, compreso il proprio, e non è preoccupato di quello che pensa la gente, ma solo di non tradire il messaggio del Vangelo. «Il mio giudice è il Signore!», grida l’Apostolo. Il cristiano non affannato, che si affida al suo Signore, è persona veramente libera e coraggiosa.