Corriere di Como, 8 novembre 2016
Ricordo di averne sentito parlare già quindici anni fa’ . Allora, se non ricordo male, si chiamava «Piano di zonizzazione acustica». Vedo che oggi si parla di «classificazione acustica del territorio comunale», e circola già un nomignolo più comprensibile alle orecchie del volgo, «piano del rumore». La giunta di Como ne ha approvato uno nei giorni scorsi e lo ha passato al consiglio comunale per l’approvazione. Già il fatto che non venga in mente di denominarlo «piano del silenzio», dice che non si vuole «silenziare la città» (e quale provvedimento amministrativo potrebbe avere successo se mirasse a questo?). In tanti tireranno, dunque, un respiro di sollievo.
Vorrei che si capisse che questa storia del rumore è cosa molto seria, e non solo per i danni fisiologici che l’eccesso di consumo di decibel può provocare. È una questione filosofica, che riguarda non soltanto il «come», ma soprattutto il «perché» della vita. L’inquinamento acustico dalle orecchie passa direttamente al cuore e lo ingolfa, negandogli proprio la beatitudine del silenzio.
Lo debbo ammettere, quando arriva l’autunno e le giornate s’accorciano e arrivano i primi freddi – come in questi giorni – io provo una particolare felicità nel vedere l’abbassamento naturale dell’inquinamento acustico dell’ambiente. È una specie di “rivincita” dei cittadini amanti della tranquillità su quelli amanti del rumore. Ma è chiaro che l’inquinamento acustico non è prodotto solo dai rumori da divertimento, ma anche da quello dei mezzi di trasporto che circolano per le strade. E in questo caso siamo tutti un po’ colpevoli.
Ma perché dovremmo amare un po’ di più il silenzio? Perché la vita sia veramente attiva, e non compulsiva. L’idea che il silenzio sia un reperto archeologico da affidare a qualche eremita è profondamente sbagliata: il silenzio è il terreno su cui nasce un’autentica attività umana, le parole nascono dal silenzio, le intenzioni e le azioni trovano lì il loro principio, le relazioni e il dialogo hanno lo spazio ideale per esistere. Ho la sensazione che una civiltà fondata sul rumore sia inconcludente, confusa, caotica, incapace di vera decisionalità. Insomma, se il rumore è in parte ineliminabile, il rifiuto del silenzio è semplicemente disumano.
È chiaro: il silenzio può essere oggetto di un piano di educazione radicato nel tessuto familiare e (magari) scolastico. La sua promozione non può essere affidata unicamente agli amministratori che devono stendere un «piano del rumore» per «non silenziare la città»… Certo, essi sono chiamati a decidere, sapendo che il silenzio non si può comandare e il rumore, forse, non si può proibire. Il «buon senso», sulla carta, potrebbe essere un prezioso alleato, ma ha smesso da tempo di essere buono. Purtroppo, è solo il travestimento del più banale «secondo me». E socialmente non funziona.