Colpo di testa 05 / L’ultimo nascondiglio della sicurezza

Corriere di Como, 1 novembre 2016

Norcia, la cattedrale di San Benedetto dopo il sismaIl terremoto è un evento che rivela più di altri la condizione terrena dell’uomo. A uno che svolazza un po’ troppo con le sue elucubrazioni mentali solitamente si dice: «Tieni i piedi per terra!». Ebbene, il terremoto sconquassa proprio questo bisogno di saldezza terrestre, va a stanare l’ultimo nascondiglio in cui l’uomo cerca la propria sicurezza. Lo sciame sismico altro non è che la misurazione scientifica della continua e imprevedibile destabilizzazione di questo bisogno di tenere i piedi per terra, il più saldamente e il più a lungo possibile.

Con un terremoto – di cui, almeno allo stato attuale, non si può prevedere il luogo esatto e soprattutto l’ora precisa in cui avviene – tocchiamo con mano quell’imponderabile che caratterizza nel profondo la natura umana, che pure è intelligente e capace di ordinare in qualche modo la propria esistenza. La nozione di «imponderabile», certo, non è una definizione apodittica, e cambia nel tempo grazie alle scoperte scientifiche e alle nuove tecniche di previsione degli eventi. Eppure, l’imponderabile non può essere completamente eliminato, anzi resta come un marchio della contingenza umana, della sua imperfezione, della sua dipendenza da altro da sé. In questi mesi stiamo misurando per l’ennesima volta l’instabilità del nostro bellissimo territorio, su cui si sono depositati secoli di storia. Domenica mattina in pochi secondi sono crollati alcuni monumenti tra i più rappresentativi del nostro patrimonio artistico. Penso soprattutto alla basilica di San Benedetto a Norcia, che, fra l’altro, porta impressa nelle sue pietre una storia fatta proprio di terremoti, che hanno colpito nel tempo la cittadina umbra: 1324, 1703, 1730, 1859, 1979, 1997.

Rispetto agli eventi sismici del passato, l’attore più importante intervenuto sulla scena dei disastri è l’informazione, soprattutto quella televisiva. I terremoti accadono a telecamere talvolta accese, in diretta. Anche chi continua a stare comodamente seduto sulla poltrona di casa, attraverso le immagini sperimenta un po’ della paura provata dalle popolazioni colpite, vede le macerie con le riprese dal basso e dall’alto dello scenario del sisma. Gli aggettivi si sprecano, le emozioni finiscono con l’essere serializzate e banalizzate in una sequenza che imita quella sismica. Al terremoto segue, infatti, uno sciame emotivo, anch’esso per certi aspetti insondabile attraverso l’occhio catodico delle immagini. E c’è un rischio in più, praticamente inevitabile: solo dove arriva l’informazione e dove arrivano le telecamere, arriva per la gente la percezione di esserci ancora, di non essere stati dimenticati. È apparenza, sia chiaro, ma noi viviamo nel mondo delle apparenze.

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