QUARTA DOMENICA DI PASQUA – Anno C
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Parla il Buon Pastore, Gesù. Ascoltare, conoscere, seguire. Manca il verbo amare, che però è il vero collante degli altri tre. Anzi, nella mentalità della Bibbia conoscere è amare, e amare sin nella profondità della carne, non superficialmente. Da questo punto di vista Gesù è il Pastore buono perché, per usare il linguaggio del libro dell’Apocalisse, ha saputo sacrificarsi come agnello. Gesù pretende di essere la guida sicura degli uomini e li invita ad avere piena fiducia in Lui – questo significa essere Pastore – perché per quegli stessi uomini ha dato la vita – cioè, è stato Agnello. Può chiedere di essere ascoltato e seguito, perché conosce, cioè ama, e ha dimostrato il proprio amore in modo pieno, «sino alla fine».
Tempo fa’, mentre giravo tra le case della parrocchia per la benedizione delle famiglie, mi avvicinò un uomo, il quale mi fece una domanda un po’ inconsueta. Mi chiese se per caso non avessi visto sette pecore… Era molto preoccupato perché due giorni prima erano scappate dal recinto su in montagna, disturbate da alcuni cani. Gli ho domandato quante pecore avesse in totale. «Sette», mi ha detto. Le aveva perse tutte! Già il giorno prima era salito sulla cima del Boletto per cercarle, ed era disposto a percorrere tutti i sentieri della zona per ritrovarle. Mi sono detto: «Che bravo pastore!». E ho pensato a Gesù, che per ritrovarci, ha dato la sua stessa vita, e continua a girare tutti i sentieri del mondo per recuperare tutte le pecore che il Padre gli ha affidato.
Ed ho pensato un’altra cosa. Ha bisogno di noi per compiere questo giro. Ha bisogno di noi per essere presente in ogni luogo del mondo e rendere nuovamente presente la figura buona e paterna del pastore che si preoccupa delle sue pecore. Oggi in tutto il mondo si celebra la Giornata di preghiera per le Vocazioni. Ovvero, si prega perché i cristiani ascoltino la voce di Cristo e lo seguano. Tutti i cristiani hanno una vocazione? Certamente. Sì, ed è immagine vivente del Buon Pastore il prete o la suora o il religioso o il missionario che mettono a disposizione la propria vita per annunciare e testimoniare il Vangelo. Ma lo sono anche il papà e la mamma che, nelle loro famiglie, svolgono una funzione quasi sacerdotale, avendo anch’essi risposto ad una particolare vocazione, quella matrimoniale. L’essenziale che accomuna tutte le vocazioni è ascoltare e seguire il Signore Gesù, uno che ti conosce e che tu riconosci come degno di fiducia. Il meccanismo spirituale che va sotto il nome di «vocazione» è proprio questo: non segui colui che ti chiama perché hai capito tutto di quanto ti chiede, ma solo perché riconosci la sua voce e ti affidi. Sposarsi significa mettere il proprio amore nelle mani del Signore, non certo aver raggiunto la certezza matematica sull’amore dell’altro. Farsi prete o suora significa aver intuito che la tua vita, posta nelle mani del Signore, potrà sbocciare in un dono: solo averlo intuito ed essersi fidati, perché Colui cui ci si affida è fedele, non certo aver avuto chissà quale rivelazione circa l’esito sicuro della propria vocazione. L’importante, insomma, non è capire, ma ascoltare. Perché solo ascoltando, poi, si capisce. Gradatamente e non sempre gradualmente, anzi talvolta vi sono momenti di buio, e quelli sono i momenti in cui bisogna ancor più ascoltare senza pretendere di capire tutto.
L’atteggiamento giusto per seguire il pastore buono che chiama è proprio quello di chi non lo avverte come un estraneo. Questo atteggiamento è un dono dello Spirito Santo, è il dono della pietà. Mi rendo conto che la parola abbia per noi un significato diverso (dice commiserazione, compassione, compatimento), ma il suo significato religioso è proprio questo: non sentire Dio come un estraneo. Direi di più: sentire Dio come un Padre e avere una linea diretta con il suo cuore, e quindi desiderare di stare nella sua mano, da cui nessuno può rapirci. La pietà è quel dono che toglie la paura a seguire Cristo, laddove egli ci vuole, perché regala la docilità e l’affidamento che sono tipici del figlio nei confronti del padre. Essere cristiani che vivono lo spirito di pietà significa proprio fidarsi amorosamente di un Dio che ci conosce e vuole il nostro bene.