Il vangelo dell’estate

SEDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

DSC_0985Gesù ha inviato i Dodici in missione. Ora tornano e ricostituiscono l’unità attorno di Lui. È bello rivedere questo gruppo nuovamente insieme, mentre si raccontano le esperienze della missione. La prima esigenza avvertita da Gesù nei confronti degli apostoli è di farli riposare. È un primo tocco di grande umanità di Gesù, preoccupato che i suoi possano vivere un periodo di riposo, in disparte dal frastuono della folla, in un luogo in cui possano far riposare il corpo e lo spirito. Potremmo anche aggiungere che Gesù ama stare in disparte con i suoi amici. Sicuramente questo è uno dei desideri più grandi del Figlio di Dio fatto uomo: stare assieme a coloro che ha scelto come amici che condividano più da vicino la missione.

In questo «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po’» c’è una sorta di teologia delle ferie. Guai se questo tempo privilegiato ci vedesse in vacanza anche da Dio. Troviamo lo spazio per il silenzio, la preghiera, la riflessione, la meditazione, accanto a quello legittimo per lo svago e per la condivisione della vita comune.

Come vanno le ferie di Gesù con i suoi apostoli? Si direbbe che finiscono presto. La folla che va e viene assilla il gruppo sino al luogo solitario in cui Gesù vorrebbe concedere riposo ai suoi. Che cosa fa Gesù? Scontrosamente dice no e si riserva uno spazio per i suoi amici, chiudendosi ad una folla più curiosa che convinta? Neanche per sogno. L’evangelista Marco ci dice, con una pennellata felice, che Gesù «ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore!». Altro tocco stupendo che ci rivela la grande umanità del Figlio di Dio. Si commuove per quella gente che lo insegue e sembra addirittura insidiare il suo legittimo desiderio di vivere un periodo di riposo privilegiato con i suoi amici. Invece di inquietarsi, si commuove!

Avverte nel profondo che tutta quella gente ha bisogno di una guida, di una presenza umana significativa capace di dire le parole giuste al momento giusto. In quell’andare e venire così frenetico si nasconde il bisogno di luce e di verità che il mondo, pur con le sue immense possibilità, non sa soddisfare. La folla che insegue Gesù assomiglia a pecore senza pastore, e Lui vuole essere il loro pastore.

E qui possiamo prendere in considerazione anche la prima lettura tratta dal libro di Geremia, il quale insinua che i pastori del popolo di Dio – o almeno alcuni di loro – sono i veri responsabili della dispersione del gregge: non si sono preoccupati come dovevano e, come dirà il profeta Ezechiele, hanno preferito fare il loro interesse e non quello del gregge loro affidato. È un monito soltanto, ma da ascoltare: tante volte siamo abili a dare la colpa al mondo e alle sue seduzioni; forse è anche colpa nostra se gli uomini si allontanano da Dio. «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo». Minaccia che riguarda in primo luogo coloro che sono responsabili delle comunità. Ma che può essere estesa a chiunque abbia, nel suo piccolo, compiti di responsabilità. Sant’Agostino, parlando dei genitori, diceva che essi svolgono nella loro famiglia la stessa funzione che nella Chiesa è affidata al vescovo.

Ma la pagina del profeta Geremia è carica di consolazione: Dio continua a costituire pastori che fanno pascolare e che custodiscono il suo gregge. Il pastore per eccellenza è Gesù, uno che sa commuoversi per questa folla che lo insegue dappertutto. In Lui, prima del giudizio c’è la condivisione. Egli partecipa profondamente alle ansie della gente; cerca di dare risposta, attraverso l’insegnamento, alle loro domande. È anche questo un monito a tutti quanti hanno responsabilità nelle comunità a seguire lo stile di Gesù. La capacità e il ministero di decidere e di giudicare non deve andare a scapito della disponibilità, della cordialità, della capacità di commuoversi di fronte ai problemi della gente. Se un padre sapesse commuoversi di fronte al figlio e ai suoi problemi prima di prendere una decisione, la sua paternità, pur nella severità, sarebbe colta in altissimo grado. Naturalmente questo vale a maggior ragione per chi, nella Chiesa, occupa un posto di autorità pastorale.

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