QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B
Dopo Noè, Abramo e Mosè, nella prima lettura di questa quarta domenica di Quaresima non troviamo alcun personaggio del popolo eletto a farci da battistrada nel nostro itinerario quaresimale dell’alleanza. La lettura riassume quasi un secolo di storia: il popolo moltiplica le sue infedeltà a Dio, il quale invia premurosamente messaggeri per ammonire il popolo a rispettare l’alleanza; poi, di fronte alla ostinazione nel peccato, giunge il castigo con la distruzione di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia; infine, dopo un lungo periodo di schiavitù, il re persiano Ciro conquista Babilonia e permette al popolo ebraico di tornare dall’esilio e di ricostruire il tempio. Il libro delle Cronache dice che «il Signore suscitò lo spirito di Ciro». Il profeta Isaia non teme di chiamarlo addirittura «eletto del Signore», titolo che veniva dato solo al re d’Israele. Com’è possibile che Dio si sia servito del re di una nazione straniera, per giunta conquistatore, per liberare il suo popolo? Perché suscitare il suo spirito e non quello di qualche condottiero ebreo? Sono domande inutili, anche se noi ce le facciamo continuamente, perché non riusciamo davvero a credere che Dio guida la storia, e lo fa anche attraverso azioni che noi consideriamo sbagliate, compiute da uomini che agiscono in nome della loro libertà e che spesso ottengono esiti diversi da quelli prefissati. È la nozione di Provvidenza che ci sfugge e che, invece, è il modo concreto di Dio per guidare la storia, salvaguardando sino in fondo la libertà umana. A noi, immersi nel presente di questa storia, sfugge il bandolo della matassa, ma dobbiamo credere che Dio lo abbia saldamente in mano.
Quindi, in un certo senso Dio si è alleato con Ciro per dare occasione al suo popolo di rientrare in possesso di quella terra che aveva perduto a causa della sua infedeltà. L’uomo rifiuta l’alleanza con il peccato, ma Dio risponde con il perdono, che chiama l’uomo ad una nuova responsabilità. Tra la parola «peccato» e la parola «perdono» avremmo potuto aggiungerne un’altra: «castigo». Non lo abbiamo fatto, perché la vera azione divina è il perdono, mentre il castigo è una conseguenza interna del peccato, che Dio – il quale ha voluto le sue creature libere – permette a scopo medicinale, perché l’uomo provvidenzialmente diventi cosciente del male compiuto e si avvii sulla strada della conversione. È proprio così: talvolta, per capire l’importanza di una cosa o di una persona, dobbiamo sperimentarne la mancanza o l’assenza. Finché c’è, la diamo per scontata. Quando manca, ecco che siamo costretti a riflettere: nella sofferenza per quella mancanza, diventiamo più maturi. La pedagogia di Dio fa spesso uso di questo espediente educativo: Dio si assenta, sta apparentemente in silenzio, per farci scoprire che non esiste il Dio che ci siamo creati noi, ma esiste solo il Dio che ha creato noi, e che vuole farci scoprire, con il suo silenzio, che noi siamo nulla senza di Lui. Quando avvertiamo che Dio sta in silenzio e sembra lontano, non concludiamo subito che ci ha abbandonato. Ma verifichiamo se, per caso, Dio sia lontano solo perché noi ci siamo allontanati da Lui. È urgente, allora, riconoscere il nostro peccato e sperimentare il suo perdono (e se mettessimo in agenda per Pasqua una bella celebrazione della Penitenza?).
E il perdono chiama ad una nuova responsabilità. È facile constatare che non esistono animali responsabili o irresponsabili: l’unico è l’uomo, e questo perché la responsabilità è una caratteristica tipica della libertà. Come dice la parola stessa, si tratta della capacità di rispondere, di rendere ragione di ciò che si è fatto o detto. Nelle grandi e nelle piccole cose. Grande cosa è la vita, che è una continua responsabilità di fronte al dono che Dio ci ha fatto: il peccato offusca questa responsabilità, talvolta l’annulla del tutto, ma il perdono di Dio è una prova di fiducia ed una continua chiamata a rinnovare la responsabilità. In concreto, però, la responsabilità si gioca nelle scelte quotidiane, nelle piccole fedeltà alle cose di ogni giorno, nel ripetere i gesti abituali, nel confermare con la vita gli impegni presi, anche se costano qualche sacrificio. Onestà, trasparenza e competenza sono gli alleati naturali della responsabilità, che fanno adulta una comunità, sia essa la famiglia o la parrocchia.