La domanda rivolta in sogno a Salomone assomiglia a quella del genio della lampada di Aladino: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». E la risposta del re avrebbe potuto assomigliare a quelle del protagonista della novella de Le mille e una notte. Invece Salomone chiede… un cuore docile che sappia distinguere il bene dal male. E con questa richiesta il racconto biblico si allontana mille miglia dal racconto fiabesco, riportandoci alla realtà. Salomone – non per nulla prototipo insuperabile del re saggio – domanda qualcosa non per sé ma per essere utilmente a servizio del suo popolo: il cuore docile è necessario per mettersi nelle mani del Signore ed essere in grado di governare la nazione, guardando gli uomini e le donne così come li guarda Dio. Salomone non vuole decidere che cosa è bene e che cosa è male – proposito che continua a tentare l’uomo del nostro tempo nel suo delirio di onnipotenza – ma chiede di essere docile così da poter distinguere il bene dal male. È vero che oggi il rischio della nostra umanità non è più nemmeno la pretesa di stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Oggi c’è ormai la tendenza a non preoccuparsi del problema, avendo eliminato dal vocabolario le parole «bene» e «male» e avendole sostituite con un più comodo «mi piace» e «non mi piace». Il rischio che ciò che mi piace sia per me un male è forte, così come ciò che non mi piace – e quindi mi ritengo in diritto di non scegliere e non fare – coincide talvolta proprio con quello che sarebbe il mio bene. Il dramma dell’uomo contemporaneo, quindi, è quello di venire improvvisamente a contatto con il male: lo ha buttato fuori dalla finestra, convinto che non esista più, e poi se lo ritrova puntuale alla porta di casa, in carne ed ossa, improvviso e importuno, e a quel punto serve a poco continuare a ripetere che… «non mi piace». È saggezza vera riconoscere che il bene e il male non sono alla nostra portata decisionale, non possiamo crearli, e l’unica posizione veramente umana per affrontarli è proprio quella docilità del cuore che Salomone chiede in dono.
Le parabole di Gesù sembrano anch’esse riportarci ad Aladino, nella fantasmagoria di tesori e di perle preziose. Il tesoro trovato nel campo e la perla di grande valore trovata dal mercante sembrano una risposta alla domanda rivolta a Salomone: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Ebbene: fammi trovare un tesoro, fammi trovare una perla preziosa… Ecco fatto. Eppure, anche queste parabole ci mostrano all’azione dei trovatori saggi, che sanno fare i conti con la realtà. Il tesoro, da solo, non rende felice: ciò che dà gioia è vendere tutto per comprare il campo che lo contiene. Che cosa vuol dire questo nel concreto della vita umana? Vuol dire che c’è bisogno di un significato grande che dia senso alla vita, e che ogni cosa preziosa, se posseduta da sola, non è in grado di garantire la felicità. Vuol dire che l’uomo ha bisogno di un perché, senza il quale anche le cose più belle e più preziose si dimostrano incapaci di dare serenità. La ricchezza vera sta nel campo e non nel tesoro, ed è il campo in cui è contenuto il tesoro che bisogna assicurarsi, anche a sacrificio di tutto il resto, perché il sacrificio di tutto il resto vale quel campo impreziosito dal tesoro. In fondo, la dinamica che guida l’uomo che ha trovato il tesoro o il mercante che ha trovato la perla di grande valore è la stessa che guida il re Salomone nel formulare la sua richiesta al Signore: essi non vogliono cose preziose, ma chiedono di essere messi nella condizione che permette di cogliere la preziosità delle cose e della vita. Il «regno dei cieli» di cui parla Gesù (e che egli cerca di spiegare con queste parabole) è proprio questa realtà entro la quale è possibile cogliere il valore vero della vita; il «regno dei cieli» è lo sguardo che viene dall’alto e che Gesù ha portato sulla terra e che ci fa cogliere la bellezza e la verità che sono come nascoste dentro la vita. È come se il re Salomone avesse risposto così alla domanda a lui rivolta nel sogno: «Signore, non darmi la polvere d’oro già bella e confezionata. No, dammi invece il setaccio attraverso il quale io possa faticosamente far passare la terra della mia vita e scovarne la polvere d’oro che vi è contenuta. Dammi il tuo Regno, e tutto il resto mi sarà dato in più!».