A scanso di equivoci, bene conoscendo la nostra propensione a dimenticare in fretta, la liturgia di oggi ci ripropone la scena dei pastori che, invitati dall’angelo, vanno a Betlemme. Non vanno per una scampagnata notturna fuori programma. Vanno «senza indugio» perché qualcuno ha suggerito loro una parola importante: a Betlemme è nato «il Salvatore». Non so che cosa questa parola dica a noi, uomini e donne dalle crisi perennemente in atto. Ma è una parola adatta ad iniziare un nuovo anno. Anche noi ripartiamo, forse con qualche indugio, ma partiamo. Di un Salvatore abbiamo proprio bisogno, di uno vero però, con l’iniziale maiuscola, perché di quelli che promettono di ribaltare il mondo come un calzino non ne possiamo più, quelli che urlano in piazza o sul web o che allungano dolci parole nei giorni che precedono le tornate elettorali (e ogni anno, comunque, ce n’è almeno una). E, per favore, ciascuno pensi al bisogno che ha lui di un Salvatore, non s’allarghi troppo in fretta agli altri, al marito, alla moglie, ai figli, alla comunità, alla società. Ciascuno inizi il nuovo anno nel modo giusto, dicendo così di se stesso a Dio: «Ecco, mio Signore, nell’anno che si è appena concluso non ho funzionato bene. E ti ringrazio per questo. Uno, perché ormai la garanzia è scaduta e devo cercare di farmene una ragione e di mettermi a combinare qualcosa di buono. Due, ed è ancora più importante, perché così capisco che, se voglio funzionare meglio, ho bisogno di te che sei venuto come il Salvatore. Voglio cercarti di più, voglio accoglierti e pregarti meglio, voglio ascoltarti e obbedirti con maggiore attenzione. Desidero che tu sia per me il Salvatore. Sì, ho bisogno di essere salvato da te». Se dicessimo solo questo quando inizia un anno, senza perdere troppo tempo a stendere piagnistei o a riempire il cassetto di propositi, sarebbe il miglior «buon anno» che possiamo augurarci e augurare.
Facciamolo, allora, e lasciamoci raggiungere dalle parole di benedizione che ogni anno la liturgia riserva a questo giorno inaugurale. Sono parole che vengono da lontano e che trovano la loro pienezza solo nel Natale. Il Signore le suggerisce a Mosè, affinché egli le comunichi ai sacerdoti e i sacerdoti possano con esse inondare il popolo. Sono parole al singolare: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda la pace». Oggi noi, più semplicemente diremmo: «Il Signore ti benedica e ti sorrida». Quando Aronne e i suoi figli pronunciavano queste parole di benedizione, ancora Dio non aveva fatto risplendere il suo volto di carne per noi. È Gesù, il Salvatore trovato in fasce dai pastori, il sorriso di Dio per noi: egli ha dato compimento pieno a questa benedizione antica. Ce lo ricorda san Paolo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio». Mandò il suo sorriso ed inaugurò una storia infinita che s’intreccia con i nostri anni. È la storia infinita del sorriso di Dio.
Abbiamo imparato a sorridere? E come abbiamo fatto? Non siamo certo andati davanti allo specchio per vedere come si fa e per essere certi di sorridere davvero. Non è così che impariamo a sorridere: il sorriso lo impariamo da piccoli, rispondendo quasi d’istinto al sorriso degli altri. Ed il primo sorriso che abbiamo visto è stato quello della mamma, la prima persona uscita dall’ombra delle prime settimane di vita fuori dal grembo materno. Ecco, Dio ci sorride proprio per insegnarci a sorridere. È lui in un certo senso la mamma di ogni uomo e di ogni donna. Bisogna guardarlo. Già, e dove? E qui c’è la sorpresa di questa storia infinita. Il sorriso di Dio – Gesù – è per sempre nell’uomo. È lì che egli ha come depositato il suo sorriso, e non è mai uguale. Lì dobbiamo incrociarlo e impararlo. Se non ce ne accorgiamo, se non sorridiamo, la benedizione di Dio passa oltre e ci invade la tristezza del mondo. Questa è davvero una storia infinita. Sì, perché il sorriso di Dio è in principio, ma ha preso dimora in mezzo a noi nel sorriso di Gesù, ed il sorriso di Gesù continua negli uomini, nelle donne, in ogni luogo e in ogni tempo. Noi impariamo a sorridere guardandolo, e a nostra volta sorridiamo e solo così lo insegniamo. Questo è davvero un buon proposito per iniziare bene il nuovo anno!