Vi sarà capitato, durante un’escursione, di essere vicini alla meta e di dover fare una deviazione imprevista che allunga il percorso. Però, magari, vi porta lungo un sentiero a strapiombo, con una vista mozzafiato. Vi fermate un attimo a contemplare e la bellezza vi riempie di verità! Ecco, accade questo nella seconda domenica dopo Natale, che non c’è ogni anno in quella piacevole escursione che sono i tredici giorni che vanno da Natale all’Epifania. Una «deviazione» liturgica, con alcune letture ardite della Parola di Dio, messe lì tutte in un colpo solo. Eppure, un’esperienza di bellezza e verità.
È soprattutto la pagina che apre il vangelo di Giovanni – il cosiddetto «prologo» – a catalizzare la nostra attenzione. Una pagina ardita, proprio uno strapiombo panoramico da cui è possibile vedere tutto il Vangelo. L’evangelista molto probabilmente l’ha scritta per ultima e l’ha messa, però, all’inizio, un po’ come si fa con la prefazione di un libro che viene redatta solo dopo che il libro è finito. È uno sguardo prospettico, un indirizzo alla lettura, insomma. Ma soprattutto colui che ha scritto questa pagina, vi ha come condensato la sua esperienza di vita. Giovanni, quel Verbo di cui parla, l’ha visto, l’ha toccato, ci ha vissuto insieme e vuole dirci che questa esperienza di vita con un uomo lo ha messo in contatto con il principio stesso della vita, con Dio. Quindi, l’incarnazione di Gesù è qualcosa che ci avvicina Dio e ce lo fa conoscere, e addirittura permette a Dio di essere più se stesso, di comunicarsi, di essere davvero vita e luce per gli uomini e per tutto il creato.
Non so perché noi cristiani ci siamo abituati a questa notizia, tanto da non prenderla più sul serio e continuare a vivere come se Dio stesse su una nuvoletta lontana, con in mano il telecomando del mondo. Ma so perché Giovanni ha scritto questa pagina così densa e così bella: ha sperimentato il cristianesimo, cioè lo ha preso nell’unico modo in cui si può assumerlo, come una vita e non come una dottrina, come un incontro personale e non come un libro da leggere, come una storia d’amore da vivere in prima persona e non come un anonimo prontuario di norme da eseguire pedissequamente. Insomma, è il fatto che il Verbo si sia fatto carne e sia venuto ad abitare in mezzo a noi, è questo fatto – non assorbito, però, come una notizia del giornale, ma vissuto dentro la propria esistenza – che ha generato la certezza che quello stesso Verbo era in principio, era presso Dio, era Dio, e che «tutto è stato fatto per mezzo di lui» e che «senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste», e che «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo», e che, nonostante tutto, «le tenebre non l’hanno vinta». Giovanni dice tutto ciò, perché si ricorda addirittura l’ora di quel giorno in cui per la prima volta ha incontrato Gesù: erano circa le quattro del pomeriggio. Cioè: non sta facendoci un discorso astratto, ma ha condensato in alcune parole importanti la cosa più decisiva che gli è capitata nella vita.
Vorrei proprio che oggi – in questa «deviazione» sul sentiero di Natale che non capita tutti gli anni – ci fermassimo solo a gustare lo spettacolo di quella forza di convinzione che in Giovanni ha generato l’aver preso sul serio l’incontro personale con Gesù Cristo. Egli già possedeva la Legge grazie alla sua appartenenza al popolo eletto – «la Legge fu data per mezzo di Mosè» – ma afferma che la bellezza e la verità gliele ha date solo Gesù Cristo – «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» – e lui confessa che soprattutto di bellezza e verità aveva bisogno nella sua vita. Quella bellezza e quella verità che servirebbero anche a noi per far diventare il cammino di Natale l’itinerario di ogni giorno di vita. Noi sappiamo quanto sono estese le tenebre, ma il Natale ci ha annunciato una luce che splende nelle tenebre e Giovanni ci ha annunciato che è una luce che le tenebre non vincono. Vuol dire che Dio, per nostra fortuna, insiste e non si dà per vinto, non si lascia scoraggiare dalle nostre titubanze, dagli errori, dalle lentezze, dalle paure. Resta la luce e restano le tenebre, ma è certo che «la luce splende nelle tenebre» e che «le tenebre non l’hanno vinta». È bello ascoltare questa ripetizione, per nulla noiosa, del Natale. Vien voglia anche a noi di non darci per vinti…