C’è una pausa nel ministero pastorale? Me lo sono chiesto tante volte, e credo di poter rispondere negativamente. Sì, ci possono essere giorni di vacanza, ma il ministero è un servizio continuato che cambia ciclicamente i suoi terreni e le sue modalità. Finisce la scuola ed iniziano le attività estive: settimane di Grest e Campi, non meno impegnative delle altre settimane dell’anno. Il famoso ed agognato respiro non si riesce mai a tirarlo sino in fondo, e non lo scrivo con tono lamentoso, perché questo vale a maggior ragione per un padre e una madre che genitori lo sono sempre: anche il loro ministero coincide con la vita.
La fine di maggio, però, segna un momento di naturale verifica, che il parroco fa raccogliendo spesso umori e pareri e ordinando i suoi pensieri nella valutazione dei progetti intrapresi. La mia meditazione prima dell’estate contiene certamente tante cose che riguardano la mia piccola parrocchia. Ma qui vorrei accennare ad una forte lamentela raccolta da più parti (in parrocchie vicine) circa una novità della prassi sacramentale in diocesi: la celebrazione della Cresima in Cattedrale a Como con gruppi assai numerosi di ragazzi (anche 300, mi è stato detto). Cerimonie di indubbio impatto celebrativo, che ricordano un poco certi fasti e certi trionfalismi ecclesiastici che fanno parte di un passato, di cui forse qualcuno avverte nostalgia. Senso comunionale forte dato dal convenire nella chiesa madre per un evento da celebrare insieme. Presenza del Vescovo, che del sacramento della Cresima è il ministro (anche se poi di fatto nemmeno lì è lui che la amministra a tutti i presenti). Eppure mi pare che questa opportunità di andare in Duomo per la Cresima – che, come me, parecchi parroci nei vicariati non hanno scelto – offra il fianco a qualche legittima critica.
Intanto si tratta di una prassi che è logisticamente complessa per la conformazione stessa della città di Como e crea, inoltre, notevoli disagi alle famiglie, con tutto quell’armamentario di pass per entrare e posti riservati, che sfavorisce oggettivamente la partecipazione. Qualcuno potrà addirittura esserne contento, credendo così di sfoltire la folla che va alla Cresima di un parente solo per andare poi al ristorante. Ma mi pare una contentezza poco evangelica, in un momento in cui le parole di papa Francesco circa l’uscire nelle periferie esistenziali per incontrare uomini e donne cosiddetti “lontani” fa il giro delle sagrestie e rimbalza nei mezzi di informazione. Ecco, mi pare che altre scelte pastorali possano esprimere meglio questa esigenza. Nelle parrocchie un po’ di caos è comunque assicurato, ma il clima è diverso. Si dirà che non c’è il Vescovo. Ebbene, tranne casi rarissimi, il Vescovo è comunque sostituito da un suo delegato, che talvolta amministra la Cresima in quattro parrocchie consecutivamente tra il sabato sera e la domenica sera (e a me pare una inutile tortura). Se non c’è il Vescovo, il migliore delegato in assoluto è il parroco, che ha seguito il gruppo dei ragazzi nella preparazione, conosce la realtà in cui vivono, sa chi c’è in chiesa in quella occasione e può trasformarla in una opportunità di annuncio ed evangelizzazione anche nei confronti di persone che sono lì solo in attesa di andare… al ristorante. Perché non prendere in considerazione questa eventualità di amministrazione della Cresima?
Certo, la prassi pastorale della Cresima domanda di essere inserita entro una risoluzione teologica del suo posto nell’itinerario dell’iniziazione cristiana. Argomento complesso che non può certo essere trattato in un blog. Per decenni si è detto che la Cresima assolveva il ruolo di sacramento della maturità cristiana. Ora si privilegia il suo legame con il Battesimo e la si vorrebbe porre come immediata preparazione al compimento del cammino della iniziazione cristiana costituito dall’Eucaristia. Forse occorreva trovare il coraggio di saldare Battesimo e Cresima (come nella Chiesa dei primi secoli) saltando a pie pari il riferimento alla presenza fisica del Vescovo. Del resto, nell’attuale rito del Battesimo c’è già una crismazione, che appare come un rimasuglio della prassi antica, quasi una sorta di anticipazione della Cresima o forse solo un doppione… Sarebbe magari più giusto trovare una via che tenga conto non solo della correttezza teologica ma anche della conformità antropologica nella ricezione dei sacramenti (in particolare Cresima ed Eucaristia): dato per scontato che i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana sono efficaci in forza del dono divino che essi veicolano (e quindi potrebbero essere amministrati in blocco già alla nascita, come avviene nelle Chiesa ortodosse), perché non utilizzare allora il criterio della capacità a riceverli da parte di bambini e ragazzi, individuando l’età più idonea all’accoglienza del mistero eucaristico e quella più adatta alla ricezione del dono dello Spirito Santo?
Domande di un prete, prima che inizi l’estate ed il ministero pastorale continui con le sue gioie e le sue fatiche…
Concordo con Lei che non ha aderito alla cerimonia di massa. Penso che questa prassi faccia parte della politica di “distruzione” delle Parrocchie e del “lancio” delle Comunità pastorali.
Sono consapevole del ristretto numero di Sacerdoti e di una preoccupante proiezione nel futuro: ma se si accentrano a livello diocesano le Cresime, si sostituisce la catechesi con il catecumenato, non si recita più il rosario a casa del defunto, si delega la visita agli ammalati ai laici, mi chiedo alla fine cosa sia rimasto della bella figura del Parroco.
La Parrocchia con le sue funzioni era la fucina del Sacerdozio, ora si tende a dimenticarla.
Le lamentele del “popolo di Dio” non è uso ascoltarle, anzi si dice che dopo lo sfogo tutto passa.
Non entro nel settore teologico Eucarestia-Confermazione in quanto non ho la preparazione adeguata, ma sull’organizzativo sì: so di nonne che non hanno potuto vedere i propri nipotini ricevere la Cresima in quanto impossibilitate spostarsi fino a Como. Sufficit!
Don Agostino, me lo puoi spiegare, il Vangelo di oggi?
grazie
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 5,36-38.
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio.
E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti.
Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi.
Come mai io oggi ho letto un altro Vangelo?
Comunque le immagini usate da Gesù vogliono significare la forza e la novità del vangelo rispetto al vestito ebraico. Ma credo che possano oggi essere usate per indicare come il cristianesimo nel panorama delle religioni costituisca un unicum che se ne distacca per contenuti non marginali ma essenziali. Gesù vuole dirci che la nostra fede in Lui non è una toppa per coprire buchi, perché la sua novità non si adatta al vecchio. Bella anche l’immagine del vino nuovo che spacca gli otri: difficile mettere il vino del Vangelo, ancora giovane e in fermentazione, dentro vecchi contenitori screpolati: il Vangelo ha bisogno di spazi nuovi in cui il suo fermento possa essere benefico.