Ciò che colpisce subito nei due racconti di risurrezione – quella del figlio della vedova di Sarepta da parte del profeta Elia e quella del figlio della vedova di Nain da parte di Gesù – è la grande umanità dei protagonisti, tanto che sia Elia che Gesù sono in realtà preoccupati delle madri più che dei figli: è per ridonare a queste donne la maternità, che la morte ha loro anticipatamente sottratta, che essi risuscitano i loro figli. A dire il vero, è solo Gesù che mostra di avere in proprio questo potere di ridonare la vita, perché il profeta Elia chiede a Dio di compiere il miracolo. Ma anche Elia, nella sua preghiera, parte dalla situazione della povera vedova: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». E così fa Gesù, che agisce a partire dalla sguardo sulla madre rimasta vedova che sta accompagnando il figlio morto alla sepoltura: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere”».
La scena evangelica è tutta incentrata sull’incrociarsi di due cortei che vanno in direzioni opposte: Gesù con i suoi discepoli e una grande folla sta entrando nella cittadina di Nain, mentre dall’abitato sta uscendo il corteo di molta gente che accompagna la donna a quello che noi chiameremmo il funerale del figlio. Si incrociano le due folle, ma sembra che solo Gesù veda ciò che è essenziale vedere. C’è come una rassegnazione riposta nel cuore di tutta quella gente, una impotenza di fronte alla morte, impotenza che diventa commiserazione silenziosa per quella donna. Non si sa che cosa dire ad una madre a cui la morte ha già tolto il sostegno e il conforto del marito – è vedova – ed ora sottrae anche l’affetto e la sicurezza costituita dal figlio. Non si sa che cosa dire e si chiudono anche gli occhi. Gesù invece la vede, vede lei, la donna, e si preoccupa del suo pianto, della sua disperazione. «Il Signore fu preso da grande compassione» è l’espressione con cui si vuol dire che è avvenuto un passaggio dagli occhi alle viscere, che qualcosa si muove dentro Gesù, nel suo cuore di uomo che sa commuoversi. Ed è «il Signore» che si commuove, è Dio che rivela il suo amore celeste, il suo potere, la sua signoria prima di tutto in una compassione grande. Il miracolo vero è questo, un miracolo di profonda umanità che avviene prima della risurrezione. Prima di «Ragazzo, dico a te, alzati!» rivolto al figlio morto, c’è «Non piangere!» rivolto alla madre. Gesù risuscita il figlio solo perché vuole restituirlo alla madre. Ciò che Gesù vuole resuscitare veramente è la maternità di quella donna, a cui la morte aveva già tolto la sponsalità. Ella aveva riempito di senso la sua vita di donna con l’essere sposa e madre e ora si ritrova privata di tutto. La commozione e poi l’azione potente del Signore nascono dal vedere questa inaccettabile povertà di senso dentro la vita di una donna smarrita. Quanto è bello questo Gesù che si lascia commuovere da una donna, a cui è stato tolto il futuro: è come se quel corteo funebre accompagnasse lei alla tomba e non il figlio, è lei che è morta insieme a lui, come madre e come donna. Gesù, per mostrare che Dio sta davvero visitando il suo popolo, ci insegna a partire da un semplice sguardo di profonda commozione umana che sa trasformare quell’incrocio distratto di cortei in un clamoroso «tutti» finale: «Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi” e “Dio ha visitato il suo popolo”». Chi entrava a Nain con la sua baldanza e chi vi usciva con il suo dramma è costretto a cambiare i suoi pensieri: ora vanno tutti nella stessa direzione, perché in mezzo a loro c’è davvero il Signore, uno capace di vedere il dolore e di commuoversi. Credo che dobbiamo cambiare anche noi il nostro modo di leggere i miracoli di Gesù e di programmare i nostri: a Nain Gesù ha risuscitato la vita di una madre, restituendole il figlio morto. Anche noi – che possiamo, come il profeta Elia, solo chiedere a Dio che compia gesti prodigiosi di risurrezione che non sono in nostro potere – anche noi, però, possiamo compiere miracoli di attenzione, di consolazione, di compassione, di vera misericordia. Se i nostri cortei umani ci fanno perdere di vista l’umanità e il dolore delle persone, con noi certo non cammina il Signore.