Mi ha colpito una sottolineatura che il giornalista Sandro Magister fa nell’ultimo articolo del suo sito dedicato a notizie, analisi, documenti sulla Chiesa cattolica. L’articolo riguarda gli atti e le parole di papa Francesco durante la recente Settimana Santa, agli esordi del suo pontificato. Scrive Magister: «Resta senza risposta l’interrogativo su due atteggiamenti apparentemente contrastanti assunti da papa Jorge Mario Bergoglio nel suo esordio di pontificato. A Casal del Marmo non ha temuto di offrire a dei giovani anche non cristiani la celebrazione della messa, “culmen et fons” della vita della Chiesa. Mentre nell’udienza del 16 marzo con i giornalisti si è trattenuto dal pronunciare le parole e dal fare il gesto della benedizione, “dato che molti di voi – ha detto – non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti”».
Ciò che condivido di questo interrogativo è l’avverbio: «apparentemente». Di spiegazioni potrebbero essercene tante, a partire dal fatto che non c’è sempre una logica così ferrea negli atteggiamenti della vita, tale che non vi sia una apparente contraddizione a posteriori. Forse papa Francesco ha trattato i giornalisti come persone potenti – di quella potenza che oggi conta molto nel nostro universo massmediale – e ha fatto prevalere il rispetto dell’intelligenza. Mentre la dinamica della grazia e del dono ha avuto il sopravvento con persone tutt’altro che potenti, ma deboli e umanamente bisognose proprio di quel «culmen et fons» che la Chiesa riconosce nell’Eucaristia. Forse. Il Papa ha una coscienza come ogni altro uomo e ad essa risponde per le sue azioni, davanti a Dio.
Vorrei però aggiungere due ricordi personali, che mi aiutano a trovare una spiegazione. Il primo ricordo coinvolge proprio Sandro Magister. C’era anche lui a Venezia nel novembre del 2000, nei giorni in cui la Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (Fisc) viveva il suo convegno nazionale sul tema “L’Islam tra noi”. Ricordo che seguii la tavola rotonda finale in sala proprio vicino a Magister, dietro di lui. Si direbbe che vivevamo un disagio comune, mentre ascoltavamo gli interventi di mons. Michael Fitzgerald e di mons. Giuseppe Chiaretti. Vi era quasi la sensazione che i due relatori – l’uno segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, e l’altro presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo interreligioso della Cei – giocassero a dimenticare apposta le parole che potevano dar fastidio ai due relatori musulmani che avrebbero preso la parola in seguito: una posizione comprensibile, ma che trasudava finzione e non conduceva ad alcun vero dialogo. Poi intervenne il filosofo Massimo Cacciari, e disse ad alta voce quella parola che i relatori cattolici avevano omessa: croce. «La croce, non una cosetta qualsiasi – disse – divide l’islam dal cristianesimo». Sentii Magister sobbalzare sulla poltroncina davanti a me, con un moto di sollievo, lo stesso che attraversava anche me, lì dietro a lui. La logica della verità impone che, per un vero dialogo, ciascuno metta in tavola chiaramente il suo logos! Si può benedire in silenzio? Ovvio che si può. Anch’io, come semplice prete, lo faccio spesso, e, grazie al Dio della Croce, quel gesto fatto senza parole e senza mani ha un’efficacia che solo il Signore conosce.
Un secondo ricordo riguarda la mia piccola parrocchia sulla collina di Como. Qualche anno fa al Grest – la settimana estiva con i ragazzi – parteciparono, con il consenso dei genitori, anche tre bambini turchi di religione musulmana. Terminammo con una Messa al campo celebrata in una radura nella valle di Ponzate. La ragazza più grande volle partecipare, e io non me la sentii di impedirglielo. Dopo la Messa – molto partecipata, con i canti accompagnati dalla chitarra – sulla via del ritorno ella volle camminare con me che tenevo per mano alcuni bambini più piccoli. Prendendo la mia mano, cominciò a parlarmi di quello che c’era scritto sul Corano e che, secondo lei, c’era anche nei Vangeli: Maria, Gesù… Io, con parole semplici, le dissi che c’erano alcune differenze non da poco, ma ella era troppo felice di poter parlare con me. Ed era felice soprattutto per una cosa. Mi disse: «Sì, anche noi abbiamo Gesù e Maria, ma una cosa bella come la Messa, noi non ce l’abbiamo!». Perbacco. Mi vennero quasi le lacrime agli occhi. Una ragazzina musulmana aveva intuito la bellezza dell’Eucaristia, mentre tanti cristiani ne erano quasi annoiati. Ancora una volta dovevo riconoscere che io presto a Gesù le mie mani e le mie parole, ma è Lui che passa. Eppure ha bisogno delle mie mani e delle mie parole. Forse giovedì scorso a Casal del Marmo, per essere Eucaristia che passa per ogni uomo, ha usato proprio le mani di Francesco che lavavano piedi…