La prima domenica di Quaresima ci porta sempre nel deserto delle tentazioni, ma dovremmo trovare il coraggio di cambiargli il nome: in realtà, è il deserto della forza. Le tentazioni sono messe in atto dal diavolo, colui che divide. Ma esse non sono vittoriose, perché incrociano la forza di Gesù, colui che unisce. Nel deserto, l’uno di fronte all’altro, stanno il «diavolo» e il «simbolo». Queste due parole indicano proprio due azioni contrapposte, che si scontrano spesso anche dentro di noi.
Noi chiamiamo «diavolo» il potere del male, personificato in una figura che cerca in ogni modo di presentarci il male come un bene. Egli sa che l’uomo non è portato alla negatività, per cui subdolamente egli si pone di fronte all’uomo con vesti seducenti, facendogli credere che il male è un bene. Nel racconto evangelico delle tentazioni di Gesù, il diavolo non propone azioni in se stesse malvagie e cita addirittura brani della Bibbia. Falsità e finzione sono le armi preferite di colui che vuole dividere. Dobbiamo riflettere su questa strategia del diavolo, perché essa sa insinuarsi, strisciando, nelle pieghe della nostra vita (basta ricordare il serpente biblico che inganna Eva e Adamo). Al diavolo piace che noi lo dipingiamo come un essere ripugnante, spaventoso, perché così egli continua a presentarsi – non riconosciuto – sotto le sembianze, invece, di un essere sorridente, colto, che fa proposte piacevoli, ma che in realtà lavora per dividere. L’occupazione del diavolo è questa: dividere, creare malumore, mettere sottilmente l’uno contro l’altro, inoculare veleno. Egli fa questo stando dietro le quinte, guizzando più tra i sorrisi che in mezzo a tutte quelle fiamme in cui noi lo raffiguriamo a guisa di caprone che sogghigna…
Contrapposto al «diavolo» c’è il «simbolo». Questa parola ha assunto un significato quasi solo figurato nel nostro linguaggio, mentre anticamente essa identificava qualcosa di molto materiale: si prendeva un oggetto, lo si spezzava a metà e ciascuno dei due contraenti un patto teneva una delle due metà, così che solo essi potevano e dovevano mantenere quel patto, rimettendo insieme le due metà dell’oggetto. Per questo i cristiani cominciarono a chiamare «simbolo» il testo che conteneva le verità di fede, che doveva essere imparato a memoria da coloro che si preparavano in Quaresima a ricevere i sacramenti durante la veglia pasquale. Era il Simbolo di fede, perché univa insieme tutti i credenti in Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. Unire è la risposta da dare al diavolo. Unire non significa banalmente formare una massa indistinta e informe. Anche in un mosaico l’unione deve avvenire sapientemente, mettendo le tessere le une vicino alle altre, non a casaccio, ma nella visione di un quadro comune e dotato di senso. Il lavoro di chi unisce – di chi fa da «simbolo» in contrapposizione al «diavolo» – è un impegno di intelligenza, ed è per questo che abbiamo bisogno che la nostra azione nel bene sia illuminata dalla Parola di Dio, compresa e spiegata. Abbiamo visto che il diavolo conosce la Bibbia e la cita, ma la mette al servizio di un progetto sbagliato: egli conosce la Parola ma non la sa, non ne porta il sapore e non ne gusta il sapore, quel sapore che solo chi resta unito dentro il «simbolo» della Chiesa può veramente conoscere nel suo giusto valore. Gesù ci appare in tutta la sua forza, capace di «esaurire» il diavolo!
Nel nostro cammino quaresimale di quest’anno abbiamo voluto raffigurare la porta della fede – che il papa Benedetto XVI ha usato come simbolo nella sua lettera di indizione dell’Anno della fede – : essa è chiusa ed ha cinque serrature, che abbisognano dunque di cinque chiavi per aprirla. Ci procureremo queste cinque chiavi nelle domeniche della Quaresima e le appenderemo lì a fianco della porta, per utilizzarle nella Settimana Santa e giungere così a Pasqua all’apertura della porta. Oggi, nella prima domenica di Quaresima, ci procuriamo da Gesù, tentato dal diavolo nel deserto, la chiave della forza. Il nostro Papa ci ha insegnato in questi giorni che c’è forza anche nel dichiarare la propria fragilità e nel non sentirsi più in grado di governare bene la barca di Pietro. La vera forza è la fortezza interiore con cui ci prepariamo ad affrontare la fatica e ad attraversare un mondo spesso ostile al messaggio di Gesù.
caro Don come sempre le tue omelie incantano…. e fanno riflettere!!!
Cri.