Anche quest’anno iniziamo il tempo della Quaresima nel segno della Parola e delle ceneri. L’Eucaristia che celebriamo diventa il fondamento di un impegno di vita, verso la gioia della Pasqua. Quest’anno, poi, il tempo della Quaresima assume per la Chiesa tutta sparsa nel mondo un significato particolare, alla luce di quella decisione di libertà e responsabilità – che tanto ci ha stupiti – con cui Benedetto XVI ha posto la Chiesa stessa dentro il cammino della elezione di un nuovo Papa. Sarà per noi un impegno soprattutto di preghiera, ma poi anche di attenzione, di conoscenza, di riflessione perché questo tempo di attesa sia occasione di una grazia particolare.
Cominciamo, intanto, con il ricordarci a vicenda le due dimensioni della Quaresima. Il rischio è di non viverle entrambe, oppure di privilegiarne una sull’altra. La prima dimensione è quella dell’interiorità delle opere penitenziali, così bene sottolineata nella pagina evangelica di Matteo da quel continuo ritornare dell’espressione «nel segreto»: tale segretezza deve caratterizzare l’azione del singolo cristiano, perché essa contraddistingue il modo stesso di vedere di Dio. Questo «segreto» non è un nascondimento fine a se stesso, una sorta di ritrosia a manifestare le opere della fede. Affatto. Nelle parole di Gesù c’è sicuramente una polemica nei confronti di una prassi penitenziale esteriore, usata come bandiera di santità e di purezza, che caratterizzava l’insegnamento ed il comportamento dei farisei e che continua a contraddistinguere ogni forma di fariseismo. Ma l’agire «nel segreto» è motivato unicamente dal fatto che l’interiorità è il luogo di Dio, in cui noi facciamo veramente l’incontro con Lui, ma in cui Egli ama fare l’incontro con noi. L’interiorità, il secretum della coscienza, è la vera essenza di noi stessi, quella in cui solo Dio vede e può, quindi, giudicare. La Quaresima sia, dunque, un tempo in cui lo spazio dell’interiorità si dilati e rubi spazi di dedizione alla nostra vita frenetica. La vera penitenza, in un mondo segnato dalla velocità spesso vacua e snervante, è proprio la lentezza di questo agire «nel segreto», sia esso segnato dalla preghiera, oppure dall’elemosina o dal digiuno.
Questa interiorità quaresimale, però, non è mera esaltazione dell’individuo, ma paradossalmente trova la sua verifica e la sua forza in una dimensione comunitaria. Essa traspare chiaramente nella pagina mirabile che ci viene proposta nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Gioele. Egli parla di un radunarsi in «assemblea solenne», in «riunione sacra» che ci fa sentire Chiesa condotta dal Signore in un unico cammino. Questo Dio «si muove a compassione del suo popolo» e desidera donare il suo perdono, non tanto a singoli individui impegnati in esercizi ascetici, quanto ad un popolo formato da vecchi e bambini, da neonati lattanti e da coniugi che trovano il coraggio di uscire dalla loro casa per formare la grande famiglia della Chiesa. La comunità non è il luogo dell’esteriorizzarsi della pratica penitenziale, perché è il cuore che bisogna lacerarsi e non le vesti. La comunità è l’alveo insostituibile in cui scorre la ricchezza che ciascuno ha attinto «nel segreto». Qui portiamo tutto noi stessi, e insieme radunati, ritorniamo al Signore nostro Dio. Credo che questa dimensione – così rara in un mondo che ha privilegiato l’individualismo sull’interiorità e la massa sulla comunità – sia la più difficile da vivere, ma anche la più decisiva per la fecondità del tempo quaresimale.
Il gesto dell’imposizione delle ceneri aggiunge a queste due dimensioni della Quaresima il senso della nostra finitezza e la professione della nostra umiltà. Siamo poco più che cenere, ma il Signore ha voluto donarci un alito di vita e vuole ogni volta rinnovare con il suo perdono la nostra vita. Diciamo anche noi le parole che il profeta Gioele mette sulla bocca dei sacerdoti che piangono tra il vestibolo e l’altare: «Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti». I nostri peccati, i tradimenti, gli egoismi provocano ferite al corpo della Chiesa e la espongono alla derisione delle genti. Ma Dio è geloso di noi, ci vuole santi e ci rinnova con la sua misericordia. Il gesto che ora compiamo sia adesione a questa misericordia che redime la nostra miseria.