La lettera di Prodi. Ma se il lievito ha perduto il fermento?

Ieri Romano Prodi ha scritto una lettera al Corriere della Sera sulla presenza dei cattolici in politica. Egli si dice contento che una parte della gerarchia italiana della Chiesa abbia tolto l’appoggio a Berlusconi. Si mostra soddisfatto anche che all’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche a Monti  non sia seguita quella conferma che avrebbe dovuto venire dal cosiddetto “Todi 3”. Il dato positivo – sempre secondo il prof. Prodi – è che, senza stracciarsi le vesti, si accetti il dato di fatto che i cattolici siano presenti in diversi schieramenti (il già premier dell’Ulivo naturalmente guarda con particolare interesse alla «rappresentanza non trascurabile per qualità e quantità dei cattolici militanti» che «ha scelto di candidarsi nelle liste del Partito Democratico») e che da dentro le diverse paste (o forse, è l’unico impasto!) possano essere “lievito”. Lo scopo di questa presenza multiforme è indicato come «miglioramento etico» della vita politica e del Paese. Occorre, pertanto, che al contributo dei cattolici sia dato «un adeguato spazio». Ma è necessario pure che i politici cattolici «si facciano apprezzare per la qualità della proposta politica e non utilizzino l’appartenenza cattolica come rendita di posizione».

Ovviamente l’analisi di Prodi si origina sul terreno di una parte politica ben precisa, che non è difficile identificare. Ma sulla multiformità della presenza cattolica in politica si può essere d’accordo con lui, anche perché è da qualche anno un dato di fatto, riconosciuto – mi sembra – anche dalla gerarchia ecclesiastica. Il problema sorge sul concetto di «lievito», un poco che dà fermento a tutta la farina in cui è mischiato. Nel Vangelo c’è anche – ancora più forte – l’immagine del «sale» che serve a salare la terra, anche qui un poco che dà sapore a tutto. Il lievito ed il sale sono portatori di una profonda identità, anche se essa poi sembra sparire: il lievito agisce e si disperde, il sale dà sapore e si discioglie. Già, ma questa identità, in partenza, prima di entrare nella farina o nel cibo, è essenziale e deve essere forte. Gesù, quando utilizza l’immagine del sale, fa una domanda che è come un pugno nello stomaco a quei discepoli che sono chiamati ad essere il sale della terra: «Ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?». L’immagine è efficace, perché Gesù dà per scontato che la terra non è una saliera e nemmeno va trasformata in un ammasso di sale, ma ha bisogno di essere salata dal messaggio evangelico, come da un “poco” che le dà sapore, sciogliendosi e disperdendosi dentro di essa. Il problema vero, una volta assodato che il mondo è insipido, è quello di essere sale che sala davvero. La questione posta da Gesù non è: se la terra perde il sapore, con che cosa la si salerà? Egli sta dicendo ai suoi discepoli che il loro compito è proprio quello di salare la terra insipida. Ma possono farlo se sono sale che non ha perduto il sapore, altrimenti come si potrà mai… salare il sale?

Già, come si può essere lievito se si è perduto il fermento? Il prof. Prodi sembra credere che il compito dei cattolici in politica sia quello di «fare operare insieme , in modo positivo, i principi che stanno alla base del Cattolicesimo e i fondamenti della nostra Costituzione». Già, ma quali sono quei principi? La Dottrina Sociale della Chiesa ha un ruolo nella formulazione di quei principi per un cattolico impegnato in politica? E i famosi «principi non negoziabili» coincidono con quelli che Prodi chiama «principi che stanno alla base del cattolicesimo»?

E ancora, circa un caso specifico che è di stretta attualità: la nostra Costituzione all’articolo 29 «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e, se questo è un fondamento della Costituzione che coincide con un principio del Cattolicesimo, come potrà un politico cattolico – che non utilizzi l’appartenenza cattolica come rendita di posizione – essere lievito dentro una farina, che vuole omologare il matrimonio tra un uomo e una donna a unioni gay, trasformando un bisogno affettivo in un diritto? Com’è possibile – su un tema su cui non dovrebbe esserci dissidio tra Costituzione e Vangelo – quel «miglioramento etico» della Nazione auspicato a parole dal prof. Prodi nella sua lettera?

Nei giorni scorsi ho sentito ripetere come un ritornello, nella multiformità degli schieramenti, che questi temi sono affidati alla coscienza. Mi viene da domandarmi: ma questa «coscienza» di un politico cattolico non più intruppato dalla gerarchia, che vuole essere lievito e soprattutto sale che dà sapore, è il sacrario dell’azione o il cassetto della codardia?

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