Per entrare nella sagrestia della chiesa di Ponzate di cui sono parroco, tanti anni fa è stata ricavata una porta su quella che era la parete laterale della vecchia chiesa, più piccola dell’attuale. E’ la porta da cui passo per andare all’altare e presiedere l’Eucaristia. Eppure, tutte le volte che, per uscire nell’aula della chiesa, mi accingo ad attraversarla, ritorna una domanda: perché mai, per fare una porta, hanno rovinato un affresco? Sì, perché quella parete era affrescata. E’ rimasta una pregevole raffigurazione della “Madonna del latte” e, accanto, San Rocco (senza il suo fedelissimo cane). Sopra la porta s’intravvede un bastone con la campana che fa presagire un Sant’Antonio abate, ma, al suo posto, è stata aperta la porta della sagrestia. Essa, ora, è vecchia ben più di quanto resta dell’affresco – nel frattempo restaurato e ritornato all’antico splendore – ma posso immaginare che, quando fu ritagliata nella parete, era l’affresco ad essere malandato, mentre la porta appariva in tutta la sua utilità e in tutta la sua novità. Già, ma una porta nuova vale un antico affresco? So che si possono dare risposte diverse a questa domanda, e ciascuna avrebbe un suo puntello di ragionevolezza. Gli intraprendenti innovatori – dietro cui spesso si nascondono, però, i peggiori retrogradi, giova ricordarlo – diranno che la rinnovata planimetria della chiesa richiedeva nuovi passaggi, coraggiose aperture, e che rimanere legati ad un passato, per giunta dai colori smunti come quelli dell’affresco, sarebbe stato indice di immobilismo pastorale. Sarà pure così, e lo dice uno che quella porta nuova (ormai vecchia anch’essa) la oltrepassa tutti i giorni… Eppure, leggendo nei giorni scorsi di ostacoli e trampolini, di ronzini e purosangue (usati quali immagini di modi diversi di affrontare la realtà di oggi da parte del “personale” della Chiesa), mi si sono come rafforzate tre perplessità che nutro da qualche tempo (e che, sia chiaro, ho manifestato anche a voce negli ambiti e nei limiti in cui mi è stato possibile farlo).
La prima perplessità – restando nell’alveo del divertente paragone equino – mi induce a pensare che, a guidare le sorti della nostra Chiesa, ci siano dei… puledri. Un po’ avventati, autori di scelte e controscelte repentine, di scatti in avanti improvvisati e di ritirate scomposte. Penso a quella parrocchia/unità pastorale che in poco più di cinque anni ha conosciuto ben otto preti… Del resto, il puledro per sua natura scalpita e gli ostacoli li supera a modo suo. Capisco che oltre lo steccato del vecchio e superato campanile si immaginino praterie rigogliose, ma sarebbe meglio dare un’occhiata anche ai prati – alcuni ancora verdissimi – che stanno dentro le mura, e badare ai vicoli ancora pieni di gente invece che buttarsi a progettare autostrade che rischiano di finire… nel deserto. Esistono anche i maneggi e non solo le praterie, e sono splendidi anche i cavalli da soma, né ronzini né purosangue, umili interpreti di un servizio nascosto e ancora assai fecondo.
La seconda perplessità riguarda proprio il rapporto con la storia, che è centrale nel messaggio cristiano. Talvolta si è così protesi al futuro, che si dimentica di sondare il “mistero” del passato a partire dalla realtà del presente. I campanilismi sterili esistono, le impuntature sui privilegi e sugli agi, pure. Ma è da sprovveduti bollare semplicisticamente (e nel mazzo) come “campanilismo” ciò che invece è storia a lungo sedimentata. La pretesa di cancellare in pochi mesi con un guizzo di geografia ecclesiastica secoli di storia delle nostre piccole comunità non s’addice a chi ha nella storia viva della gente la materia che la fede deve saper plasmare, con fantasia ma anche con prudenza. Anche perché la politica nostrana ci ha abituati ai danni che può fare la fantasia, quando è al potere e procede a briglia sciolta.
La terza perplessità è forse la più forte (e anche la più avvertita da tantissimi preti e laici) e riguarda il cosiddetto stile di sinodalità che dovrebbe caratterizzare il cammino della Chiesa. Come lo spirito conciliare non è solo per il tempo del Concilio, così quello sinodale non è solo per quando si celebrerà il Sinodo. Lo si impara vivendolo da subito. Invece, ecco che la nuova organizzazione dell’Iniziazione Cristiana è giunta per decreto vescovile, con la medesima fretta con cui sono giunte altre decisioni (vedi, ad esempio, l’improvvisa erezione del santuario di Maccio nella prima domenica di Avvento del 2010, senza seguire un iter ispirato alla consultazione e alla prudenza). Nei vicariati e nelle parrocchie regna il disorientamento. Forse una sperimentazione più prolungata e attenta avrebbe giovato. Forse le considerazioni che sento fare da preti di tutte le età (non solo dai vecchi parroci) meritavano un dibattito più aperto. Posto che le scelte fatte siano le migliori, occorreva – in spirito veramente sinodale – esercitare la pazienza più che la fantasia e il coraggio. La pazienza di ascoltare e di preparare la strada, dando ad esempio un certo numero di anni di tempo ai parroci perché possano organizzare la vera novità del percorso di catechesi, che è quella riguardante le famiglie dei bambini fino ai sei anni, e preparare così il terreno per futuri cambiamenti della prassi sacramentale (che, nel nostro contesto non ancora catecumenale, potrebbero benissimo aspettare).
Torno alla porta della mia sagrestia. Che cosa avrà spinto il mio predecessore di tanti anni fa’ ad aprire quel varco, sacrificando un pezzo di storia, per giunta colorata e sempre viva? Forse anche allora si sarà detto che i tempi sono cambiati, e qualche taglio con il passato bisogna pur farlo… Forse giunse anche allora, calato dall’alto, un decreto di riorganizzazione… Magari quell’affresco era deteriorato, non più adatto ai tempi nuovi, e si giudicò troppo dispendioso restaurarlo. E poi la nuova porta si doveva fare ad ogni costo, e in fretta… altrimenti si perdeva l’appuntamento con il futuro! Io, ogni volta che l’attraverso, immaginando la bellezza di una parete affrescata alla fine del ‘400, la domanda me la faccio sempre: “Ma questa porta vale il vecchio affresco?”. Dall’angoscia di dover per forza rispondere mi salva la contemplazione della serenità del Bambino Gesù in braccio a sua madre, e quell’uccellino che se ne sta tranquillo sulla sua mano. Si tratta, comunque, di un affresco e di una porta. Sono più preoccupato per la nostra Chiesa, e mi piacerebbe che, invece che di cavalli – ronzini recalcitranti e paurosi o purosangue intrigati dagli ostacoli – si parlasse di uomini e donne, imbevuti della loro storia e segnati dalle loro lentezze. Mi piacerebbe che si prendesse più sul serio questa umanità che abita le nostre parrocchie, senza sacrificarla agli organigrammi stilati in qualche ufficio e calati dall’alto con un’assurda pretesa di universalità. La Chiesa non è un galoppatoio e la vita delle nostre comunità non è un concorso ippico…
Tutto tremendamente vero, don. Che scellerati coloro che distrussero un affresco , “il vecchio”, per una porta, “il nuovo”. Ma soprattutto che cosa sgradevole sentirsi paragonati a dei cavalli e così entrare in crisi perchè, certo, a volte come cristiana ti capita di assomigliare ad un ‘ronzino’ con le tue debolezze, le tue fragilità, i tuoi dubbi e qualcuno ti colpevolizza a favore di un ‘purosangue’, che magari ti piacerebbe essere, ma il cui carattere ardimentoso, audace, un po’ ‘bullo’ mi pare mal si addica all’umiltà e al ‘farsi piccoli’ che ci chiede il Signore.
Concordo con il concetto di puledri in guida alla nostra Chiesa con i risultati che si vedono; quanto all’affresco tagliato si consoli….. Se non erro anche sotto il Cenacolo leonardesco è stata aperta una porta sacrifando parte l’opera.
Carissimo don Agostino, per amore della verità (e del diritto canonico) andrebbe precisato che l’Iniziazione Cristiana non è stata emanata con un decreto vescovile (che infatti non esiste a livello materiale!!!) come invece è stato detto da uno dei “puledri” poichè se l’Iniziazione cristiana fosse stata emanata con un decreto ci si sarebbe posti al di fuori della CEI (che ufficialmente non si è ancora espressa su tale catechesi), ma con una decisione che canonicamente non è neppure definibile. Tutto ciò dimostra che la nostra diocesi è guidata da puledrini appena nati!!!
grande AGO ancora una volta hai colto nel segno….. grazie per quello che dici e fai GEGE’ 62