ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA
La prima lettura (tratta dal libro dell’Apocalisse) è un testo di non facile interpretazione. Si parla di due segni «nel cielo», ovvero si vuole riferire il compimento della storia. C’è il segno grandioso della donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle, e c’è l’altro segno dell’enorme drago rosso con sette teste e dieci corna.
Sembrano due segni definitivi. Sembra la lotta tra il bene e il male, il bene ritratto nella bellezza femminile, il male nella mostruosità animalesca. Ma questo immobilismo non s’addice alla Apocalisse! Il compimento della storia avviene nel dinamismo e nel dramma della storia. La donna sta per partorire, grida per il travaglio. Il drago trascina giù un terzo delle stelle del cielo e le precipita sulla terra. I due segni sono tutt’altro che definitivi e perfetti: la donna è nell’atto di dare la vita, il drago è nell’atto di distruggere (ma è solo un terzo: è impotente!). Il frutto del grembo della donna è atteso dal drago per divorarlo, ma viene rapito verso Dio e la donna viene rifugiata nel deserto, così il drago rimane a bocca asciutta! «Ora si è compiuta la salvezza», annuncia la voce dal cielo. «Ora», cioè nel grande dinamismo drammatico dell’Incarnazione.
Che cosa c’entra tutto questo con la solennità odierna? L’interpretazione del segno grandioso della donna va nella direzione di Maria, e il figlio che partorisce è Gesù, il Figlio di Dio. Maria viene salvata dalla morte ed è assunta nella gloria del Cielo. Ella non è una divinità, però, rimane una creatura umana. Per questo il segno è davvero grandioso, perché ci riguarda da vicino: il destino di Maria sarà anche il nostro. Ma la donna è anche simbolo della Chiesa che continua a realizzare giorno per giorno il compimento della salvezza. Quel parto con il tentativo di divorare il figlio, quel rapimento verso Dio e quella fuga nel deserto, continuano ad avvenire e dicono che l’Incarnazione è tuttora operante dentro la storia in modo egualmente drammatico. A noi è chiesto di partorire continuamente il Figlio di Dio tra le pieghe della storia, in mezzo alle insidie del male.
Il Ferragosto, che nella cultura pagana deriva da “Ferie di Augusto”, ancora oggi nel tempo post-moderno è vissuto come un giorno di gita fuori porta e di ristorazione con antipasto, primo piatto, secondo piatto e dessert, a volte senza partecipare alla messa. Non mi è stato facile per alcuni decenni comprendere il collegamento tra la festa laica di Augusto e la festa cattolica del “dogma” dell’Assunzione di Maria. Don Agostino non scrive però sul dogma, ma si rifà all’Apocalisse, attribuita a San Giovanni. Del conflitto tra il drago e la donna che aspetta il figlio, Don Agostino scrive; “Quel parto con il tentativo di divorare il figlio, quel rapimento verso Dio e quella fuga nel deserto, continuano ad avvenire e dicono che l’Incarnazione è tuttora operante dentro la storia in modo egualmente drammatico.” Don Agostino ci apre finalmente il cuore sul 15 agosto! Il riferimento all’Apocalisse ci impegna a “partorire” il Figlio di Dio tra gli eventi della storia, in mezzo al male delle guerre, della pandemia, della siccità, della carestia e soprattutto dell’individualismo post-moderno. Il 15 agosto è quindi una giornata di grande intensità religiosa anche se vissuta “fuori porta”…
Mai, nella mia vita ( 76 anni) ho vissuto un ferragosto festaiolo. È sempre stato, per diversi motivi, un giorno di silenzio, di libri. Unica “uscita” la Messa: ieri e oggi. Rimpiango tante cose: i paesi che non ho visitato, le relazioni non coltivate,ma questa giornata sospesa, direi molto pensierosa mi è sempre andata bene così. Forse perché è il momento in cui il mistero incrocia la nostra vita; una donna come noi, assunta in cielo: come una guida indiana Maria ci precede perché anche nell’ estrema avventura possiamo percorrere sentieri familiari sentendoci, sempre a casa.
Brava Anna, una giornata sospesa, pensierosa, ma di un pensiero gioioso!