DOMENICA DELLE PALME – Anno C

Il Vangelo della Passione, in un colpo solo, ci ha fatto ascoltare l’esito della vita di Gesù. Vangelo, cioè «bella notizia». E ci domandiamo dove stia la bella notizia in quella che appare più verosimilmente come una «brutta storia».
Il rischio è che per noi non sia più né vangelo né disgrazia, ma sia semplicemente una noiosa ripetizione annuale di una storia che conosciamo già. Anzi, noi sappiamo anche il seguito, con il sepolcro scoperchiato e la risurrezione di Gesù. Insomma, stiamo inscenando una finzione rituale? Spero proprio che non lo sia. All’inizio della Settimana che ci porta alla Pasqua siamo chiamati a partecipare a questa storia di Gesù, che culmina sulla Croce, così da non sentirla estranea alla nostra vita. Partecipare, ovvero prendere parte, anzi prendere una parte.
Può darsi che, ascoltando, ci sia capitato di sentirci rappresentati da qualcuno dei personaggi che hanno calcato la scena in cui il protagonista è Gesù. Non dobbiamo aver paura di riconoscerlo. Forse Gesù lo abbiamo seguito da lontano, come Pietro, e magari, come lui, lo abbiamo rinnegato (quanti nostri silenzi come cristiani assomigliano al «non lo conosco» di Pietro!). Forse lo abbiamo persino giudicato, come i membri del Sinedrio, Erode e Pilato. Forse, come le donne, ci siamo limitati a commiserarlo con il pianto. Magari, come Simone di Cirene, ci siamo trovati sulle spalle una croce non nostra da portare per un pezzo di strada. C’è anche la parte dei due ladroni nel racconto della Passione dell’evangelista Luca: c’è chi rifiuta e chi accoglie, chi vive la prova da arrabbiato e chi è capace di pregare e di affidarsi. Nel finale troviamo anche Giuseppe d’Arimatea, che chiede a Pilato il corpo di Gesù per dargli degna sepoltura.
Magari in questo racconto non abbiamo trovato la nostra parte, perché proprio non c’eravamo. Sarebbe bello, invece, riuscire a identificarci con Gesù stesso. E lo possiamo fare solo uscendo dal nostro individualismo, pensandoci insieme come membra di quell’unico corpo di Cristo che è la Chiesa. Allora sì, questa storia tornerebbe ad essere vangelo!
Con questa domenica e poi col triduo pasquale, giungiamo davvero al culmine della storia. E in “questa” storia ci siamo noi, Gesù ci ha portati qui, così come ha portato la sua croce. Noi siamo la sua croce. Ciascuno di noi dovrebbe sentirsi presente, non semplicemente come spettatore, ma come parte integrante di un dramma che non è finzione, ma un fatto. Non esiste abbraccio più avvolgente, più risolutivo di quelle braccia stese e apparentemente impotenti. Ma l’abbraccio ( la salvezza) non si realizza malgrado noi, a noi tocca accoglierlo. Se manca la nostra adesione, inutile per noi il dono.
Nella settimana che ci porta alla Pasqua don Agostino ci esorta a: “Partecipare, ovvero prendere parte, anzi prendere una parte.” A noi capita di seguire Gesù da lontano, come Pietro, semplici osservatori chiusi nell’individualismo post-moderno. No, non va bene! Cerchiamo di identificarci con Gesù stesso; non è facile, ma questa è la via, la verità, la vita…