SANTA FAMIGLIA DI GESÙ MARIA E GIUSEPPE – Anno C

Gesù è stato adolescente. Da bambino si è fatto improvvisamente grande: così i genitori percepiscono l’adolescenza del figlio, come una improvvisa richiesta di autonomia, che genera angoscia.
Gesù dodicenne gode già di una sua libertà di movimento, se Maria e Giuseppe possono perderlo a Gerusalemme. Ma una volta scoperto lo smarrimento, Gesù per loro torna ad essere il bambino che non può cavarsela da solo: tornano indietro a cercarlo.
Quando ero piccolo e mi si raccontava questa storia, il narratore aggiungeva che Gesù non andava affatto imitato in questa sua disobbedienza: lui solo poteva permettersela, perché era il Figlio di Dio. Non è vero. Questa autonomia è necessaria ad ogni cucciolo di uomo per crescere, e se non si favorisce lo sviluppo di questo desiderio, si ottiene o un ribelle o un bamboccione, non certo un adulto. Ma lo stesso Figlio di Dio ha potuto manifestare la pienezza della sua divinità, solo assecondando lo sviluppo della sua umanità.
Spesso di questa pagina evangelica si ricorda giustamente che è una sorta di anticipazione simbolica dell’ultima Pasqua di Gesù: il riferimento ai tre giorni dell’angoscia dei genitori alla ricerca del figlio smarrito è la traccia più evidente di questo intento, come ad anticipare il buio del sepolcro che separerà la croce dalla risurrezione. Ma sbaglieremmo a non cogliere l’intento finemente antropologico e pedagogico di questo strano epilogo del vangelo dell’infanzia secondo Luca. È una scena isolata che rompe il silenzio su trent’anni di vita, fondamentali per costruire pazientemente il tessuto umano di Gesù, che è poi lo strumento con cui egli ha manifestato la sua divinità.
Noi ci ostiniamo a vedere l’umanità e la divinità di Cristo come due “cose” distinte e faticosamente incollate insieme. Non è così: l’umanità di Gesù è la trasparenza della sua divinità, dalla mangiatoia al sepolcro. Questo brano è un messaggio per i genitori: costruire pazientemente l’umanità dei propri figli è l’unico modo per educare (e-ducere), cioè far venire fuori l’impronta che Dio ha messo in loro sin dal principio.
Gesù non è stato uomo, e dunque ragazzetto, per finta. Crescendo saggiava la portata della sua missione; si orientava riflettendo su se stesso. Proprio come capita ( dovrebbe ) a ciascuno di noi. In fondo ciascuno di noi ha genitori terreni e un Padre che sembra lievitare nella nostra coscienza; con cui ci relazioniamo con cadenze che sono diverse per ognuno. Magari qualcuno ne ha fin troppo di un padre naturale per riconoscerne uno tutto speciale, cioè Dio. Consolante per noi genitori pensare che persino Maria e Giuseppe si sono un tantino distratti.
Scrive Anna: “Consolante per noi genitori pensare che persino Maria e Giuseppe si sono un tantino distratti”. Sì è vero; a me capitato, perdendo la moglie quando Lucia era ancora un cucciolo, di essere a volte distratto nel lasciarle l’autonomia necessaria per crescere. Mi hanno aiutato i vicari don Gianmaria Comolli, don Sandro Zanzi e il catechista Sandro Russi (spirato da poco) nel favorire lo sviluppo di questo desiderio; così Lucia non è una ribelle, nè una bambocciona, ma è una persona adulta. Spero, ma non posso esserne sicuro, di averle fatto venire fuori l’impronta che Dio ha messo in Lei sin dal principio…,Don Agostino scrive bene: “sbaglieremmo a non cogliere l’intento finemente antropologico e pedagogico di questo strano epilogo del vangelo dell’infanzia secondo Luca”.
Scrive don Agostino: “Ma lo stesso Figlio di Dio ha potuto manifestare la pienezza della sua divinità, solo assecondando lo sviluppo della sua umanità.” Questa affermazione è forse il centro della teologia dell’incarnazione; è una sintesi di quanto si legge nel libro “Diventato uomo rimasto uomo” (pure del Clerici) che fa comprendere che l’incarnazione non è svuotamento, ma che la Vita di Dio nella carne è l’essenza del suo Essere e del suo Amare…
Non solo non c’è uno svuotamento ma c’è un misterioso arricchimento. La vita di Dio assumendo la natura umana acquista un’incredibile trasparenza. In Gesù Cristo l’uomo può vedere Dio e Dio può amare l’uomo come se stesso!