NATALE DEL SIGNORE

In principio – cioè quando il mondo ebbe inizio – la Parola c’era già e si rivolgeva a Dio. Giovanni comincia così il suo vangelo, tirando il filo che dalla creazione giunge sino alla incarnazione.
Infatti, quella Parola, che venne a casa sua e i suoi non l’accolsero, quella stessa Parola divenne uomo e venne ad abitare in mezzo a noi. Quindi, nella mangiatoia di Betlemme c’è l’Uomo-Parola. Nel mezzo della storia comincia ad esserci Colui che c’era prima del principio, e senza del quale non cominciò ad esistere cosa alcuna di quanto esiste. Sembra una astrazione adatta ai filosofi. Invece, è il fondamento della mia vita.
Vita, ecco un altro termine usato nel prologo di Giovanni. La vita è la realtà che mi scorre dentro e che mi dà la certezza di esistere. Ebbene, la Parola, che in principio c’era già, conteneva vita, era la vita. La vita, dunque, è la qualità divina per eccellenza, eppure è quello di cui anch’io sono fatto. Dio è Vita, ma anch’io sono vita. E lo sono grazie alla Parola che divenne carne, che diventò uomo. E la vita era la luce dell’uomo.
Ecco una terza parola del prologo giovanneo, luce, che sta al posto di quella che noi chiamiamo «verità»: la luce è la vita stessa in quanto si può percepirla, vederla, constatarla. Quindi, prima di tutto c’è la vita piena di luce e verità della Parola divina, ed è il fondamento di tutto, di tutta la vita, di tutta la luce. È il fondamento della mia vita.
Allora, quando mi guardo, e quando guardo il volto dell’altro, prima di tutto percepisco la vita ed è la vita che mi conduce alla verità di me stesso e alla verità dell’altro, non il contrario. Invece, noi siamo come incrostati alle nostre verità, solidificati nei nostri progetti e non riusciamo più a vedere la vita, nella sua divina liquidità. Ci manca lo sguardo del pastore di Betlemme, che sa vedere la vita adagiata nella mangiatoia, e questo gli basta. Il Natale è fatto di questo sguardo, così diverso dalle nostre indagini, così capace di raggiungere il centro dell’uomo, così intuitivo e fluido nel toccare l’essenziale. Lasciamoci invadere nell’intimo dalla Parola che è vita e che sta in mezzo a noi.
Il prologo di Giovanni, ciò che di più bello è mai stato scritto. La lettura che – bambina – attendevo con ansia alla fine di ogni Messa e che leggevo (tradotta) nel messalino che mio fratello mi porgeva. Capivo poco, ma mi pareva che l’insistenza nel proporlo volesse sottolineare la sua importanza. Allora, per me, divenire grande voleva dire riuscire a capire quelle parole complesse. Poi ho capito che in quel ” principio” io c’ero già: come progetto, come sogno di Dio. Ho imparato ad amare e rispettare la Parola e le parole, la vita (sempre, nelle sue gentilezze e nelle sue ruvidezze), la luce che è Gesù e che illumina ogni notte. Il vangelo di Giovanni è la compagnia di ogni giorno.
Don Agostino è ogni anno fecondato dal Natale nella sua vena letteraria. Ci offre così una teologia del Natale molto semplice, non incrostata da complicate indagini, ma come scrive lui: “lo sguardo del pastore di Betlemme, che sa vedere la vita adagiata nella mangiatoia, e questo gli basta”