Corriere di Como, 30 marzo 2021
Finalmente la nave cominciò a galleggiare e a muoversi. Una buona notizia dopo una settimana in cui la speranza di disincagliamento dell’enorme cargo veniva coniugata secondo tempi lunghi, creando non poco allarme. La Ever Given è una nave porta-container di quattrocento metri con 20mila container a bordo, un immenso deposito sul mare. Non si sa bene che cosa sia successo martedì scorso – c’è chi parla di una tempesta di sabbia e chi si spinge sino ad ipotizzare un errore umano – fatto sta che una delle navi più grandi del mondo si è arenata nel canale di Suez, provocando il blocco di uno dei nodi nevralgici della navigazione e del commercio del globo.
Oltre quattrocento navi, a nord nel mar Mediterraneo e a sud nel mar Rosso, aspettano di poter imboccare lo stretto canale che dal 1869 permette con i suoi 190 chilometri di evitare la lunga circumnavigazione dell’Africa. Dopo l’ampliamento inaugurato nel 2015, il canale di Suez è navigato ogni giorno da una cinquantina di navi, che pagano ciascuna un pedaggio che va dai 150mila ai 250mila dollari. Ma fare il periplo dell’Africa costa almeno il doppio e dai sette ai dieci giorni di navigazione in più. Il blocco del canale per una settimana con in più i tempi per smaltire il traffico costituiscono un grave ammanco finanziario e le assicurazioni hanno già fatto una prima stima dei danni che ammonterebbero a circa 170 milioni di euro.
Ma la vicenda della Ever Given inciderà anche sul nostro portafoglio. Il tempo è danaro e stare fermi in mezzo al mare ne fa perdere molto. Che cosa trasporta la Ever Given? E che cosa trasportano le centinaia di navi che avrebbero dovuto già aver raggiunto i porti di destinazione? Tra parentesi: sono pochissime le navi italiane tra quelle coinvolte nel blocco, ma la maggior parte di esse è diretta proprio verso porti italiani, e quindi si prevede un impatto negativo sul nostro settore industriale perché il ritardo delle consegne di merci nella filiera produttiva causerà un innalzamento dei prezzi.
Questo è il risultato di un mondo globalizzato in cui tutto sembra dipendere dalla fretta. A cominciare da ciascuno di noi che, quando ordina la pizza al telefono, si aspetta subito dopo di sentir suonare il citofono da chi ce la consegna. Un mondo che va di corsa e che è affidato ad un fragile collo di bottiglia come il canale di Suez. Il gigantismo delle navi – trasportare più merci con un solo viaggio è redditizio e pure ecologico! – aggrava il rischio: quattrocento metri di nave stracolma di pesanti container vengono incanalati dentro uno stretto pertugio d’acqua profondo 24 metri. Si direbbe che l’incidente è dietro l’angolo, ma sembra ormai impossibile rinunciare a questa specie di rischio programmato di un progresso tutto affidato alle leggi della velocità e del guadagno.
L’incagliamento della Ever Given nel canale di Suez, in questo tempo di pandemia, è un’ulteriore prova della nostra fragilità. Messi in ginocchio da un virus invisibile che non conosce confini, sperimentiamo anche l’imprevedibilità del nostro progresso di cui diamo per scontata la sicurezza. È vero, per una nave immensa che si arena, l’uomo sa trovare l’ingegno e la forza di due rimorchiatori che riescono a toglierla dalla sabbia. Ma non dimentichi, però, che è – e resta – una canna sbattuta dal vento.
Molto bella la riflessione sull‘uomo come canna sbattuta dal vento. Suez ci ricorda la Bibbia…