QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C
Lazzaro è una delle persone in un certo senso più fortunate e nello stesso tempo più sfortunate della storia. La sua fortuna sta nell’aver provato il risveglio dalla morte, quella sorta di risurrezione che costituisce il desiderio di ogni persona che vede nella bara un proprio caro. Poter riabbracciare Lazzaro è stato il massimo della gioia per Marta e Maria, che avevano sperato in una presenza sollecita di Gesù che evitasse la morte all’amico Lazzaro. Forse, durante i nostri funerali, l’uso della parola «risurrezione» può farci venire in mente questo epilogo prodigioso di un uomo morto che esce dalla tomba. Ma veniamo alla sfortuna di Lazzaro, che è almeno pari alla sua fortuna: ha dovuto morire una seconda volta, di lì a poco o tanto tempo non importa. La morte è un’esperienza di passaggio da una certezza – la vita – ad una incertezza – che cosa c’è dopo l’ultimo respiro? – e non è certo augurabile morire… due volte. Lazzaro ha avuto in sorte questo destino.
Questa duplice e paradossale situazione di Lazzaro ci porta a riflettere sul significato di questa pagina evangelica che la Chiesa ci propone a due settimane dalla Pasqua. Se non ne comprendiamo il senso, essa rischia di farci cadere in un colossale inganno, che è forse quello in cui cadono i molti che «alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui». Credono in lui perché ha fatto uscire un cadavere dalla tomba con tutte le sue bende e con il sudario sulla faccia. Sarebbe questa la vittoria sulla morte, di cui Gesù parla? È in questo modo che Egli è la risurrezione e la vita? Niente affatto. Quel gesto così prodigioso è soltanto un segno. Un segno anticipatore di quanto accadrà di lì a poco a Gesù stesso. La vittoria sulla morte sta in un sepolcro vuoto che conserva intatte bende e sudario, ma il cui ospite è entrato nella nuova dimensione della vita eterna. La vittoria non è tornare indietro a questa vita, ma andare avanti nella vita di Dio! Di questa risurrezione – quella vera, quella definitiva – avremo modo di parlare nella Domenica di Risurrezione. Ora, però, soffermiamoci sul segno anticipatore di Betania e sul suo significato per noi. Perché Gesù non corre a casa dell’amico malato, ma resta lontano per due giorni? Perché egli legge in un altro modo rispetto a noi il problema della vita e della morte, ha un senso degli avvenimenti della storia e dei problemi della vita che è molto diverso dal nostro. Non corre, perché per Gesù vivere significa fidarsi del Padre. E in questo modo svela all’uomo del suo tempo e di ogni tempo che il modo corretto per affrontare la vita è l’abbandono fiducioso nelle mani dell’Amore infinito di Dio. Gesù lascia morire Lazzaro, perché la morte fa parte della vita come la nascita, ma non è l’ultima parola. Certo, Gesù piange, perché è uomo sino in fondo e gli manca l’affetto terreno di un amico. Ma Gesù non è sgomento dinanzi alla morte, non è disperato, perché percepisce la storia nelle mani di Dio.
Viene in mente una stupenda frase di Lacordaire, spesso citata sui bigliettini a tema che ci si scambia nelle diverse occasioni della vita: «Quel che so, per domani, è che la Provvidenza sorgerà prima del sole». Parole che dovremmo imprimerci nel cuore, perché noi siamo invece preoccupati, quando andiamo a dormire, di svegliarci ancor prima della Provvidenza, quasi per dirigerla, per aiutarla, per indirizzarla bene laddove vogliamo noi. Noi siamo preoccupati dell’oggi e leghiamo tutto alla vita presente, per questo temiamo terribilmente la morte. Dio, invece, ci presenta un’altra risposta, un altro modo di vivere e di morire. Che diventa possibile confidando in Gesù Cristo, il quale è la risurrezione e la vita e afferma perentoriamente: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».
«Sono una creatura nuova». Lo possiamo dire dal giorno del nostro battesimo. Nella morte e risurrezione di Cristo, pur continuando la nostra vicenda umana con le sue gioie e le sue angosce, noi siamo già creature nuove. Non ha senso sognare di partecipare alla vicenda prodigiosa di Lazzaro, visto che ciascuno di noi già partecipa alla risurrezione di Cristo di cui il «risveglio» di Lazzaro era soltanto un segno. Ciò che Gesù ha soltanto promesso a Marta e Maria, noi già lo sperimentiamo.