SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A
«Io non lo conoscevo», dice Giovanni di Gesù che sta venendo verso di lui. È un’affermazione poco credibile, visto che Gesù e Giovanni erano cugini e praticamente coetanei (c’è una differenza di solo sei mesi tra i due). Che cosa vuol dire precisamente: «Io non lo conoscevo»? Vuol dire che Giovanni si accorge di non conoscere il vero volto di Gesù, si accorge che la conoscenza di Gesù non può mai essere considerata come una cosa scontata. Partirei da questa affermazione del Battista, oggi, per fare una riflessione insieme sulla nostra conoscenza di Gesù. Vi sono tanti cristiani che non sanno nulla di Gesù, tranne le quattro nozioni che sono rimaste in testa – se sono rimaste, poi! – dal catechismo infantile. E, di solito, questi cristiani non provano alcun disagio, alcuna sofferenza per avere una così scarsa conoscenza di Gesù. Per cui continuano a non conoscerlo. Il problema vero di oggi è l’ovvietà con cui si accetta questa ignoranza. Quando qualcuno arriva a mettere in dubbio l’identità storica di Gesu e la verità dei Vangeli, i cristiani non battono ciglio perché la maggior parte di loro non sa nemmeno di che cosa si parla. Se si parla di tasse, di soldi, di prezzi che salgono, di salari non più adeguati, di attricette o calciatori, chiunque ha subito qualcosa da dire e spesso si dimostra bene informato. Se si parla di Gesù, la scena diventa improvvisamente muta. È un affare per preti e per teologi, a noi bastano i dieci minuti di predica la domenica (e sono già troppi e noiosi quelli!).
Sia chiaro: la non conoscenza di Gesù è un dato di fatto anche per quei cristiani – pochi, purtroppo – che si appassionano al vangelo, che si informano e leggono un buon libro. Anzi, costoro hanno la stessa sensazione di Giovanni e devono ricredersi continuamente sulla identità profonda di Gesù, perché il Vangelo è un libro di vita, un libro aperto che ogni giorno legge la nostra vita, solo che noi abbiamo il coraggio di lasciarlo aperto e di leggerlo e ascoltarlo. Certo, occorre un po’ di tempo e noi ne abbiamo sempre così poco, occupato com’è da tante cose essenziali e necessarie, e da altre che forse lo sono assai meno.
Naturalmente, «conoscere» è ben più che leggere un libro ogni tanto. La conoscenza di Gesù è esperienza di Gesù. Giovanni non lo conosceva, ma poi fa esperienza di Lui e lo indica come «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Una bella espressione che continuiamo ad usare nella Messa per indicare Gesù fatto pane per noi. Cioè: Gesù non è qualcuno ributtato nel passato, un personaggio storico rimasto vivo in qualche libro che parla ancora di lui. No, Gesù è ora, qui, in mezzo a noi, l’Agnello di Dio che continua a togliere il peccato del mondo. Il verbo usato da Giovanni, che è stato tradotto con “togliere”, significa in realtà “prendere”. Gesù toglie il peccato proprio prendendolo su di sé, e questo è forse l’aspetto di Gesù che Giovanni non conosceva. Vuol dire che nel momento stesso in cui io riconosco come un peccato la mia ignoranza su Gesù, Egli l’ha già presa su di sé per toglierla. È Lui che tenacemente vuole abitare la mia ombra, è Lui ad insegnarmi questo stile di presenza nella storia. Che non è esattamente quello più gettonato tra gli uomini. Solitamente cerchiamo di caricare sull’altro il nostro peso, più che caricarci il peso dell’altro. Gesù invece è il principio della nuova, vera, umanità, quella che sa farsi carico, quella che toglie prendendo su di sé. Ecco, «conoscere» sempre più Gesù significa anche e soprattutto accettare questa sfida, fidarsi di Lui e vivere secondo questa strana logica dell’Agnello di Dio, che Giovanni il Battista ha visto in Gesù e, con il suo dito, ha indicato anche a noi.