SEDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C
L’interpretazione più diffusa di questa pagina evangelica conduce normalmente ad un bivio: Marta rappresenta la vita attiva, Maria è l’immagine della contemplazione. Bisogna decidere se stare dalla parte di Marta o dalla parte di Maria. Ed è onestamente difficile scartare Maria, visto che Gesù ha decretato che la sua è la parte migliore. Ebbene, dimentichiamoci questa lettura, perché Gesù non vuole affatto dividere i suoi discepoli in due parti e sceglierne una. Vuole soltanto confermare quanto ha appena detto al dottore della legge. Dobbiamo riprendere il brano di vangelo di domenica scorsa, quello delle due domande del dottore della legge e della parabola del buon samaritano. E allora comprenderemo meglio il senso del bonario rimprovero di Gesù a Marta. Ricordate? Gesù aiuta il dottore della legge a rispondere alla sua prima domanda («che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»): la risposta è il duplice comandamento dell’amore, di Dio e del prossimo. Grazie alla seconda domanda del dottore della legge («chi è mio prossimo?») Gesù rivolge un rimprovero a chi non sa vedere Dio presente nell’uomo bisognoso e sofferente. Lo fa attraverso la parabola del buon samaritano. Marta, da questo punto di vista, sembra l’incarnazione perfetta di quella figura pronta a «farsi prossimo». Tutto ciò sarebbe vero, se Gesù fosse venuto sulla terra come si va in un albergo, a bere mangiare e dormire: Marta sarebbe perfetta! Ma Gesù è venuto a portare la salvezza integrale di tutto l’uomo: amarlo non significa solo dargli da mangiare bene, ma ascoltare e mettere in pratica la sua parola. Ecco spiegato il senso del rimprovero di Gesù: il servizio di Marta ha senso solo se c’è l’amore di Maria, per cui quella di Maria è senza dubbio «la parte migliore» in quanto costituisce come il fondamento dell’agire stesso di Marta: senza amore pieno di Gesù non si dà servizio vero di Gesù. Questo è l’essenziale della pagina evangelica odierna: Maria e Marta non rappresentano due modi di vivere (di cui uno è migliore dell’altro), ma sono le due dimensioni che ogni discepolo di Gesù deve vivere. Ognuno di noi, per essere Marta deve essere Maria: rendersi disponibile ed accogliere la parola di Gesù e a metterla in pratica.
Il rimprovero a Marta, però, ha qualcosa di specifico da dire a noi che siamo sottoposti ai rischi di un’epoca frenetica che rischia di esaurire tutto in attività puramente esteriori. Nella Chiesa di oggi è presente il rischio della comunità per cui Luca scrive il suo Vangelo: un eccesso di impegno sociale a scapito dell’ascolto della Parola. Faccio un esempio. Se a un giovane proponete una settimana di attività sociale a favore di questa o di quella categoria di persone bisognose, può darsi che vi dica di sì. Se proponete una settimana di esercizi spirituali, comincia a guardarvi stranito accampando mille scuse. Se avessi fatto l’esempio con un adulto, l’esito non sarebbe cambiato.
Può dar fastidio questa constatazione, proprio come istintivamente dà fastidio il rimprovero di Gesù a Marta. In fondo, mentre siamo nell’affanno del «fare», stiamo bene perché il «fare» ha l’effetto di non far pensare. Un effetto deleterio, perché non aiuta a costruire uomini e donne consapevoli. Gesù vuole invitarci a fermare il ritmo del «fare» per metterci in ascolto della sua Parola, così da essere essenziali nell’azione. Quanti fronzoli inutili ci sono anche nel nostro agire da cristiani! Se ci fermassimo di più ai piedi di Gesù, sapremmo purificare la nostra azione.
È un invito estivo? No, vale per tutto l’anno, ma certo questo periodo è il più indicato per praticare la «parte migliore» di Maria. Diciamo no, allora, a chi cerca di stordire anche il tempo delle ferie con rumori, affanni, divertimento fine a se stesso. Scegliamo la parte di Maria: un tempo prolungato di preghiera che ci dia la possibilità anche di fare il punto sulla nostra vita, qualche lettura seria, qualche bella discussione in famiglia e tra amici su argomenti che contano e che edificano. Il nostro compito di cristiani non è solo fare del bene al nostro prossimo attraverso opere fattive e concrete, ma anche mostrare al mondo il volto – trasfigurato – dell’uomo e della donna che sanno staccare la spina dell’affanno.