Colpo di testa 91 / I genitori “numerati” tornano padre e madre

Corriere di Como, 30 ottobre 2018

Corsi e ricorsi. Anche la fredda burocrazia ha un’anima, una sorta di filosofia o etica di riferimento, che ispira il legislatore. Cambia l’orientamento, si modificano le disposizioni. La questione della firma sui documenti o sui moduli era rimasta ferma per decenni ad una formula, che conosco bene sin dalla mia infanzia: «Firma del padre (o di chi ne fa le veci)». Poi la parola “padre” (con l’aggiunta di “madre”) era stata sostituita con “genitore” (o “genitori”) ed era venuto meno ciò che stava tra parentesi. Ad un certo punto alla formula classica – visto l’evolversi velocissimo dei costumi e delle leggi – ci si vide costretti ad una aggiunta: «nel caso di genitori separati/divorziati è prevista la firma di entrambi i genitori». Prodromo ad un ulteriore “aggiornamento della terminologia parentale”, con il famoso “genitore 1” e “genitore 2” che tanto ha fatto discutere.

Proviamo a disquisire sulla parola “genitore”. Essa viene a sostituire i termini “padre” e “madre”, considerati portatori di una chiara (e forse imbarazzante) differenza sessuale, che viene così ridotta ad una mera funzione svolta da due persone, il “genitore 1” e il “genitore 2”. L’etimologia pare a prima vista univoca: “genitore” deriva da un verbo latino (geno) e prima ancora greco (gennao), che indica l’azione del generare, del procreare, del dare la vita, in una accezione biologica. C’è addirittura un termine femminile caduto un po’ in disuso – “genitrice” – che ha lo stesso significato.

In un senso lato, però, la parola “genitore” va oltre la sfera biologica, identificando una “genitorialità sociale” (concetto e parola che nel vocabolario Treccani entra tra i neologismi solo nel 2008) che allarga la prospettiva sulla conseguenza del generare, che è l’allevare, il crescere, l’educare, il curare, azioni che rientrano, più che nel “dare alla luce”, nel variegato mondo del “dare la luce”. E qui la parola genitore s’avvicina molto al significato che è meglio espresso dai termini “padre” e “madre”, più consoni ad indicare un’azione che si prolunga nel tempo, e non puntuale come l’atto generativo biologico. Ci può essere un padre che non è genitore, magari proprio perché c’è stato un genitore che non ha saputo o voluto essere padre.

È di questi giorni la notizia che dalla carta d’identità dei minorenni dovrebbe presto sparire la dicitura «genitori», sostituita da «madre» e «padre». Il cambiamento, voluto fortemente dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, è già stato approvato dal ministero della Pubblica amministrazione e da quello dell’Economia e delle finanze e attende il via libera dal Garante della privacy. È vero che, nell’epoca in cui si danno più combinazioni tra donazione di sperma e utero in affitto, 1 e 2 rischiavano di essere troppo pochi per garantire che tutte le possibili genitorialità naturali e sociali entrassero in gioco. È pure vero che “padre” – “madre” suona indubbiamente meglio rispetto all’asettico “genitore 1” – “genitore 2”. Speriamo, però, che tutto non si risolva solo in un cambiamento di vocabolario. Firmare come padre e madre è soprattutto un’assunzione di responsabilità più grande.

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