ASCENSIONE DEL SIGNORE – Anno B
L’ascensione al cielo di Gesù è l’evento che sta al centro di questa solennità della Chiesa, la quale pone un limite a quei quaranta giorni dopo la risurrezione, in cui fu possibile ad alcuni di vedere Gesù. Poi, egli è per sempre sottratto alla vista del corpo, e nemmeno gli apostoli possono più vederlo e parlare con lui nel modo in cui si vede e si parla con un uomo. Ma deve essere chiaro che l’ascensione non pone un limite alla vita del Risorto, anzi è vero esattamente il contrario: quel limite è tolto per sempre, e Gesù è vivo e presente sempre e in ogni luogo. L’Ascensione, quindi, non è affatto una festa d’addio. O meglio: la verità profonda contenuta nella parola «addio» ci rivela il senso per noi della solennità odierna. «Addio», cioè «ad Deum», letteralmente: «Ti auguro di incamminarti verso Dio e di stare vicino a Lui». L’Ascensione è per Gesù esattamente questo mistero: «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio». Adesso Gesù è in Dio. Bella scoperta, mi direte: Gesù è Dio, lo è sempre stato, e in un certo senso non si è mai allontanato da Dio nemmeno quando è venuto sulla terra. Certo, ma ora, ad Deum c’è un Dio fatto uomo, che ha mantenuto la propria umanità e l’ha fatta ascendere in cielo. Mentre ora io parlo, in cielo c’è già, grazie a Gesù Cristo, qualcosa di me, qualcosa di te, qualcosa di noi. Qualcosa di molto concreto, umano. Qualcuno che ha camminato lungo le strade della terra, che ha mangiato, dormito, sorriso, pianto, toccato…
Ecco, questa è la bella notizia dell’Ascensione: il rapporto tra cielo e terra è sovvertito. Sì, perché il cielo e la terra di cui si parla oggi nel vangelo non sono il cielo e la terra di cui ci parla la geografia, l’astronomia o la scienza. E il cielo che Gesù va ad abitare è in alto solo perché per noi le cose positive, le cose importanti, le cose che durano per sempre, stanno in alto, mentre in basso, sotto terra, mettiamo le cose negative, brutte, quelle che vorremmo appunto seppellire. Il cielo in cui va Gesù è suo Padre, è quindi il raggiungimento dell’amore perfetto.
Ma quel cielo è più terreno di quel che pensiamo, ci è assai vicino. Leggiamo, infatti, che, dopo l’ascensione, gli undici apostoli «partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro». Altro che andato via: Gesù era ancora lì con i suoi amici, era al loro fianco e agiva con loro: è un Dio seduto alla destra del Padre, ma che continua a sporcarsi i piedi accanto ai suoi discepoli che invece hanno invaso le strade del mondo.
C’è un ultimo problema da risolvere, costituito da quelle parole dette da Gesù agli Undici, «i segni che accompagneranno quelli che credono». A noi non è riuscito di scacciare i demoni, e di guarire i malati imponendo le mani. Le lingue straniere le abbiamo sì imparate, ma a scuola, e con molta fatica. Non possiamo certo rischiare di avvelenarci per vedere se funziona la promessa che, se berremo veleni, non ci recherà alcun danno. No, queste cose non siamo riusciti a farle, forse perché non ci crediamo sino in fondo. O forse perché ciascuno di noi pensa di doverle fare da solo. Invece Gesù le ha dette agli Undici, insieme. E anche noi riusciamo a farle, se stiamo insieme. In effetti, la comunità cristiana aiuta i malati, scaccia il male, parla il linguaggio nuovo dei giovani, affronta i serpenti che cercano di minarne la salute. Di veleni, poi, la Chiesa di Gesù Cristo ne ha bevuti tanti nella sua storia, e ne beve tanti, ma è sempre viva, e nessun veleno sembra recarle danno. Insomma, il Vangelo è vero, ma è vero se c’è una Chiesa ad accoglierlo, se c’è una comunità che crede e che mostra al mondo i segni della fede. Forse siamo troppo preoccupati delle cose da fare e poco della cose da credere. Forse le attività sono tante, ma la fede è poca.
La festa di oggi ci costringe ad un cambiamento di rotta: il cielo è già qui, perché Gesù ha già portato in cielo la nostra terra. Alla destra del Padre – cioè in Dio – non c’è un fantasma, ma un uomo in carne ed ossa, lui, proprio lui, Gesù crocifisso e risorto. Ma se è così, allora i nostri piedi cammineranno quaggiù sulla terra, solo se i nostri cuori sono rivolti al cielo. Lo ripeteremo tra poco: «In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore».