La vite nei tralci

QUINTA DOMENICA DI PASQUA – Anno B

Ecco un’altra immagine che dice il nostro rapporto con Dio. Non più solo pecore che appartengono ad un pastore buono, che le conosce e le ama sino a dare la vita per loro. In fondo, le pecore sono la proprietà, pur preziosissima, del pastore; sono da lui distinte. Gesù si paragona ad una vite e ci vuole suoi tralci, uniti a lui per portare frutto.Quando guardi una vite fai fatica a distinguere dove finisce la vite e dove iniziano i tralci. Sono una cosa sola. E i tralci portano la linfa della vite ovunque, ma da soli, staccati dalla vite, quella linfa non serve a niente, ed i tralci rinsecchiscono e sono buoni per essere bruciati. Questa immagine è veramente ardita e dice la natura profonda della Chiesa, quella che noi non contempliamo mai a sufficienza, di cui non teniamo conto, protesi come siamo a ridurre tutto ad una questione di numeri, di strutture, di gruppi. La Chiesa, invece, ci ricorda Gesù nell’odierna pagina evangelica, è un tutt’uno organico con Lui. Noi tralci non siamo proprietà della vite, ma ne facciamo parte. Noi non apparteniamo alla Chiesa come una cosa appartiene ad un proprietario. Noi siamo la Chiesa. Quando si vede la Chiesa si vede anche Gesù, così come quando si vedono i tralci si vede che c’è una vite viva che sta producendo frutto. Noi siamo il segno della presenza feconda di Cristo nel mondo. Non apparteniamo a Cristo al modo in cui le cose ci appartengono, ma al modo in cui l’amore circola tra le persone. Che bello è percepire questa verità profonda che ci costituisce dal giorno del nostro battesimo! Quale responsabilità ha assunto il Signore nel rendersi visibile attraverso di noi, nel far sì che la sua fecondità di vite sia affidata ai tralci. La realtà più bella che possiamo richiamare per cercare di comprendere l’immagine ardita usata da Gesù è quella del matrimonio, che non per nulla forma una vera e propria «chiesa domestica». Marito e moglie, uomo e donna si appartengono a vicenda non in un rapporto di potere dell’uno sull’altro, ma di compenetrazione nell’amore: è Cristo – la vite feconda – che dona lo sposo alla sposa e viceversa, e in quel momento due tralci uniti all’unica vite diventano un tralcio solo che continua a ricevere tutto dalla vite.

«Chi rimane in me e io in lui», dice Gesù. Rimanere in Gesù è l’unico modo umano perché Gesù possa rimanere in noi. Esiste una vite senza tralci? In teoria sì, ma è come un cuore senza sangue. Esistono tralci senza la vite? No, è impossibile, perché quando esistono, dopo un po’ muoiono. «Senza di me non potete far nulla», aggiunge giustamente Gesù, facendo intendere che il «rimanere» dei tralci nella vite è per «portare frutto», che è esattamente lo scopo del «rimanere»: l’unione profonda tra Cristo e i suoi discepoli è per la fecondità visibile e terrena.

Attenti. Non si dice «portare foglie», ma «portare frutto». Sono due cose diverse, entrambe visibili, ma diametralmente opposte: una vite che fa solo foglie è improduttiva. Così – se vogliamo ritornare all’immagine del matrimonio – un amore solo dichiarato e magari appariscente, se rimane infecondo, è illusorio come un tralcio secco. Gesù chiede ai suoi di rimanere uniti a Lui per portare frutto, mettendoli in guardia non tanto dall’azione – anche le foglie sono un prodotto – ma da un’azione senza di Lui: «Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Non dice: potete fare poco! Ma dice: non potete fare nulla! Cioè: sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui.

Ecco perché la vite stessa, senza di cui i tralci non possono produrre alcun frutto, è soggetta alla cura severa e prudente del vignaiolo – il Padre – il quale è abilissimo nel tagliare: «ogni tralcio che in me non porta frutto – dice Gesù – lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto». Ogni taglio sembra uguale, ma non è così: c’è un tagliare che in realtà è un potare, cioè un eliminare il superfluo, perché si possa produrre più e meglio. Le potature non mancano nella vita di un cristiano, e talvolta sono dolorose, ma sono il segno dell’amore provvidente di Dio. Quando siamo potati, ma rimaniamo nella vite, allora – prima o poi, poco o tanto – è il tempo dei frutti.

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