Nella compagnia della Croce

VENERDÌ SANTO

«Discese quaggiù la nostra Vita e uccise la nostra morte» (Sant’Agostino). Per sapere che la morte è stata uccisa dalla Vita, però, dobbiamo attendere la risurrezione… Oggi, Venerdì santo, lo spettacolo sembra essere solo quello della morte che ha ucciso la Vita! Il racconto – lo abbiamo ascoltato – termina in una tomba, si conclude con una sepoltura. Ma è proprio così?L’autore della lettera agli Ebrei scrive che Gesù «nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito». Come si può fare questa affermazione se sappiamo che a Gesù non venne risparmiata la morte di croce? In che senso la sua preghiera venne esaudita? Dobbiamo andare al mattino di Pasqua e scoprire che il sepolcro è vuoto. Gesù fu, dunque, esaudito… in ritardo?

No, egli fu esaudito sulla croce, nel momento di morire. Ce lo conferma l’evangelista Giovanni, il quale ricorda l’ultima parola pronunciata da Gesù sulla croce: «È compiuto». Come a dire che il compimento, l’esaudimento, è proprio lì in quel morire, e in quel morire c’è paradossalmente l’uccisione della morte da parte della Vita. Il prodigioso duello tra vita e morte – di cui ci parla plasticamente la Sequenza di Pasqua – si è svolto sul legno della croce prima ancora che nel sepolcro ed è morendo che la Vita vince. Vince e – come dice l’evangelista Giovanni – «consegnò lo spirito». È in quel momento del venerdì che davvero tutto è compiuto. Certo, noi abbiamo bisogno dello strazio della deposizione dalla croce, abbiamo bisogno dei rituali della sepoltura, abbiamo bisogno del silenzio di un giorno intero, il sabato santo, per prepararci alla notizia della risurrezione. Ma la vittoria – che i nostri occhi non hanno saputo vedere – è avvenuta dentro lo spettacolo di sconfitta e di morte del Calvario.

Se ci pensiamo bene, che cosa si è compiuto sulla croce se non il gesto eucaristico di Gesù? Uno che ti lava i piedi con quelle mani in cui il Padre aveva dato tutto, uno che decide di mettere la sua vita nel suo corpo spezzato e nel suo sangue versato, e tutto ciò lo fa per esprimere un amore che vuole essere «sino alla fine», non ha forse già annientato la morte? L’Eucaristia è la Croce annunciata e la Croce è l’Eucaristia realizzata. Quando uno decide di vivere la sua vita all’insegna del dono di sé, anche se muore, uccide la morte. È la logica del chicco di grano, che Gesù aveva annunciato proprio per indicare che nell’innalzamento sulla croce avrebbe attirato tutti a sé. Dunque, è così: la sua preghiera venne esaudita. «Discese quaggiù la nostra Vita e uccise la nostra morte».

In questo Venerdì santo noi cristiani non possiamo far altro che mettere al centro la croce di Cristo, sapendo che essa è la fonte della vita, perché su di essa si è consumato l’amore sino alla fine del Figlio di Dio. Ogni anno giungiamo a questo giorno, portando in cuore ciascuno i propri dolori. Ebbene, la croce di Cristo è la compagnia divina più umana che si possa desiderare. Essa non è una risposta logica alle domande sul perché del dolore e della morte. La croce non è una risposta, è semplicemente la via percorsa da Dio. Non ci viene chiesto di capirla, ma di adorarla, ovvero letteralmente di portarla sino alla nostra bocca per baciarla, ed è quello che faremo tra poco, con un gesto che è insieme scandaloso e profetico. Gesù in quel venerdì vinse la morte, morendo. E poi rimase nel cuore distrutto dei suoi discepoli in quel lungo sabato prima della domenica di risurrezione. Sarà così sino alla fine dei tempi, perché il mattino di Pasqua si realizzerà per noi solo in paradiso. Ma abbiamo la certezza di non essere soli nel portare le nostre croci. Proprio così: «Non volle rimanere a lungo con noi, ma non ci ha lasciati!» (Sant’Agostino).

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