NATALE DEL SIGNORE
Siamo abituati a sentirne tante di notizie, e spesso sono notizie cattive. Il televisore ha sostituito gli angeli, e sputa ogni secondo le sue sentenze e le sue banalità. Oggi vogliamo riaccendere gli angeli e spegnere il televisore, per ascoltare, stupiti, l’annuncio del Natale: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Che notizia di gioia! Per noi, per tutti noi, è nato Qualcuno che ci salva. Il nostro cuore è, oggi, un cuore che si rallegra: se ha percorso l’itinerario dell’Avvento e si è preparato, vegliando, testimoniando, accogliendo, ora questa gioia è una gioia intelligente, pienamente consapevole.
L’attesa è colmata da una Presenza. Certo, si tratta di una Presenza inaspettata. È come quando ci siamo preparati a ricevere un regalo, e poi, una volta scartato il pacco, ci accorgiamo che dentro c’è sì un regalo, ma non è esattamente quello che ci saremmo aspettati, eppure siamo immensamente stupiti perché esso supera ampiamente la nostra attesa, pur essendo magari piccolo. Questa è esattamente l’esperienza del Natale: il cuore si rallegra perché Dio è piccolo.
Un filosofo non certo credente, Jean Paul Sartre, ha immaginato il pensiero di Maria nella stalla di Betlemme: «La Vergine è pallida e guarda il bambino. Guarda il bambino e pensa: questo Dio è mio figlio. È Dio e mi assomiglia». Natale è esattamente questa esperienza materna che riconosce una somiglianza tra Dio e l’umanità. Come è possibile? Se non fosse un fatto che si può toccare, sarebbe sicuramente impossibile. Ma è un fatto. I pastori vanno a vedere e trovano come l’angelo ha annunciato. Anche loro possono fare lo stesso pensiero di Maria: questo bambino è il figlio di questa donna, è Dio ma ci assomiglia!
Certo, bisogna trovare il coraggio di andare fino a Betlemme. Partire in fretta dopo aver ascoltato una notizia che, sulle prime, sembrerebbe inattendibile. Se l’angelo avesse detto: ecco, vi è nato un Salvatore… andate a Gerusalemme e lo troverete nella stanza del re attorniato da tutti i dignitari; se avesse annunciato così, la notizia sarebbe stata attendibile, ma bastava un qualunque banale televisore a darla, non serviva scomodare una schiera di angeli! La notizia dell’angelo è sconvolgente: Dio c’è, ed è avvolto in fasce, come un qualunque bambino, anzi come un bambino poverissimo che non ha nemmeno una casa per nascere. Dio c’è ed ha il volto dei nostri bambini, è piccolo come loro, è fragile, piange, sorride, allunga la manina. Questo è il segno, un segno piccolo che fa grande il nostro Natale.
Sappiamo che Gesù, un giorno, mise al centro un bambino e chiese ai suoi discepoli di diventare come quel bambino per poter entrare nel Regno di Dio. Il bambino è il modello del discepolo, che qui in terra è chiamato a dipendere continuamente da Dio. E i bambini ci richiamano a questa situazione esistenziale. Ma noi che cosa insegniamo loro con il nostro comportamento, prima ancora che con le nostre parole? E dedichiamo loro tempo? Mi hanno fatto leggere la lettera a Babbo Natale di un ragazzino di nove anni, in cui come unico regalo chiede che il papà gli dedichi mezzora al giorno: quando il papà, che era disposto a spendere qualunque cifra per accontentare suo figlio, ha letto quella lettera è entrato in crisi. Meno male: qualche volta sono i bambini a insegnarci qualcosa!
Forse dobbiamo cominciare col non aver paura a ripetere le poche semplici parole dei bambini a Natale. Ho trascritto una poesia che mi ha recitata un bimbo di cinque anni. Dice così:
«Oh se potessi, Gesù Bambino, farti dormire nel mio lettino;
da questa grotta portarti via, là nel calduccio di casa mia!
Ma nel mio cuore una voce dice
che tu domandi una cosa sola:
non la mia casa, non il mio letto,
ma solo un cuore pieno d’affetto.
Se questo chiedi, questo ti dono
con la promessa di essere buono».