Corriere di Como, 5 dicembre 2017
La Voyager 1 ha risposto «ok». La sonda robotica inviata nello spazio nel 1977 ha continuato a viaggiare in questi 40 anni, allontanandosi di 21 miliardi di chilometri dalla Terra. Gli ingegneri della Nasa martedì scorso hanno riacceso a distanza quattro (dei sedici) propulsori, che erano fermi dal 1980, usando impulsi della durata di 10 millisecondi ciascuno. Voyager 1 – la sonda più lontana e più veloce ancora funzionante – ha obbedito alla perfezione, inviando una conferma dallo spazio interstellare in cui si trova. La risposta è arrivata 19 ore e 35 minuti più tardi, cioè il tempo impiegato dal segnale per raggiungere l’antenna di Goldstone in California. Nessuno che si sia lamentato di aver dovuto aspettare così tanto. Anzi, tutti soddisfatti, perché ora si prospetta la possibilità che la sonda statunitense possa lavorare ancora per qualche anno, nonostante il progressivo esaurirsi del sistema di alimentazione elettrica e la tecnologia di bordo ormai obsoleta. Le quasi venti ore impiegate dall’«ok» per raggiungere la Terra sono passate in secondo piano.
Ho fatto un sogno. Che esista una applicazione di messaggistica non istantanea. Mi spiego: uno mi scrive un messaggio, e necessariamente deve passare mezz’ora prima che sia effettivamente inviato (con la possibilità di ripensarci, e di cambiarlo o cancellarlo), e un’altra mezz’ora deve passare prima che io possa rispondere (e, sia chiaro, non sono obbligato a farlo), e così di seguito. I messaggi si diraderebbero e si avrebbe più tempo per riflettere a quello che si scrive. Si potrebbe chiamarla PostApp: avrebbe – almeno all’inizio – pochi utenti, ma poi raccoglierebbe via via tutti i nauseati dai vari social di messaggistica istantanea, pieni ormai di risposte smozzicate, istintive, offensive, violente, stupide. Un’ora è sufficiente per far riflettere chi scrive e chi risponde? Non c’è il rischio che i trenta minuti siano impiegati per occuparsi delle molteplici chat aperte, invece che a riflettere? Qualcuno potrebbe paventare che questa fantomatica applicazione ostacolerebbe la trasparenza della spontaneità. E se fosse vero il contrario, e cioè che la spontaneità porta alla sconsideratezza, mentre la trasparenza si raggiunge solo con la ponderazione?
Certo, ogni aiuto alla ragionevolezza può essere facilmente aggirato. Mi pare, però, che di attesa il nostro mondo ha urgente bisogno. E si deve fare qualcosa per interrompere il flusso disordinato di troppe parole che invadono una Rete dalle maglie sempre più larghe e sfilacciate. La tecnologia digitale non è né buona né cattiva, ma ha indubbiamente annullato il ruolo del tempo come luogo di sedimentazione dei sentimenti troppo accesi. Ci è regalato un tempo risparmiato, ma non sappiamo più nemmeno sciuparlo, perché sfugge alla legge della velocità. Il piccolo principe di Saint-Exupéry, ad un mercante di pillole che calmano la sete, facendo risparmiare cinquantatrè minuti alla settimana, disse: «Io, se avessi cinquantatrè minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…». Il problema è che non sappiamo più andare adagio adagio. Tutto si brucia subito, e i danni sono spesso irreparabili.