VENTOTTESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A
Un’altra parabola. Non è più la vigna il luogo simbolico richiamato da Gesù, ma un banchetto di nozze regali. Non una semplice festa per il matrimonio di due sconosciuti, ma la festa per il matrimonio del figlio del re. La parabola procede in modo paradossale e Gesù avrebbe avuto almeno due occasioni per farla finire prima. Invece no. Continua sino alla scena dell’invitato che non indossa l’abito giusto per la cerimonia e, quindi, viene escluso dalla festa. Come al solito, non dobbiamo fermarci ai particolari per comprendere le parabole di Gesù, altrimenti perdiamo di vista l’essenziale. Un quadro va sempre guardato dalla distanza giusta.
Ebbene, in questa parabola due sono le cose essenziali. La prima. Come cristiani siamo messi di fronte ad un avvenimento inaspettato: il Figlio di Dio si sposa con l’umanità, si incarna, diventa uno di noi. Le nozze regali della parabola stanno al posto dell’incarnazione di Cristo, di questo fatto che ha dell’incredibile e che invece è storia vera. Tante volte noi cristiani viviamo da uomini religiosi che continuano a fare a meno di questo fatto: Dio è quello là, non questo qui. Dio si è fatto vicino e noi ci ostiniamo a tenerlo lontano. La seconda cosa essenziale è forse ancora più importante: a questo fatto inaspettato noi, tutti noi, siamo invitati. La parabola insiste su questo Dio che invita tutti: «Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Il matrimonio del Figlio di Dio è con l’umanità, nessuno escluso. All’invito si danno risposte diverse. Ci si aspetterebbe di trovare universale consenso ad un invito alle nozze del figlio del re, ma non è così. Credo che la parabola lasci intravedere quattro risposte diverse.
Il primo gruppo è quello degli indifferenti. Hanno altro da fare, non hanno tempo per certe cose. Quelli che inseguono il guadagno facile, la carriera, il successo hanno un’agenda fittissima e per loro è reale solo ciò che è terreno e materiale. Soldi, carriera e successo hanno una realtà che sembra solida, ma in realtà sono niente. Non perché non abbiano un valore, ma perché sui soldi non si può costruire solidamente la propria vita: i soldi sono un mezzo, non il fine della vita.
Il secondo gruppo è formato dagli oppositori convinti del cristianesimo. Nella parabola, essi arrivano ad uccidere. A costoro la Chiesa dà fastidio, proprio perché è una presenza umana di Dio, è una presenza divina incarnata che ha la pretesa di avere una parola su tutto. Negano l’esistenza di Dio, e, a maggior ragione, dà loro fastidio un Dio che abbia sposato la nostra umanità. Ne esistono tanti di questi oppositori? Sì, non forse quanto gli indifferenti, ma sono in buon numero e occupano spesso posti di potere nella politica e nella cultura.
Vi è poi un terzo gruppo, che, a dire il vero, nella parabola è rappresentato da un solo invitato che ha pensato di poter entrare con i suoi cenci alla festa di nozze, senza quel vestito che gli era stato sicuramente offerto, visto che anche gli altri venivano dalla strada e lo indossavano. È il gruppo dei cristiani tiepidi che fanno sì parte della Chiesa, ma solo esteriormente, perché vi si sono trovati dentro e non hanno mai cercato di comprendere bene il perché e non si dannano l’anima per far diventare interiore questa scelta. Il vestito nella parabola rappresenta questo «di più» che è necessario avere e di cui, invece, i tiepidi pensano erroneamente di poter fare a meno.
Da ultimo vi è il gruppo di coloro che partecipano degnamente alla festa di nozze. Magari si sono meravigliati di essere stati invitati, ma hanno accettato e hanno pure compreso che quell’invito domandava un certo impegno, un cambiamento di vita, un abito nuovo. E anche quello è stato loro donato, e hanno deciso di indossarlo. Mi viene in mente l’abito bianco che è stato consegnato ai nostri genitori nel giorno del battesimo. Simbolo eloquente di una scelta da indossare e non da tenere nell’armadio. Il Regno di Dio è pieno di questi uomini della strada, che hanno avuto il coraggio di decidersi per il sì.