La nostra invidia e la bontà di Dio

VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno A

L’errore che commettiamo nell’ascoltare questa parabola è quello di appuntare la nostra attenzione sulla parte finale, dimenticando l’intera vicenda. Ci immedesimiamo subito nella protesta degli operai che hanno lavorato di più e hanno ricevuto esattamente come quelli che hanno lavorato un’ora soltanto, e ci verrebbe voglia di… fare sciopero, perché il padrone non applica la giustizia nel pagamento del salario. In verità, se ci pensiamo bene, non possiamo nemmeno affermare che egli sia ingiusto, in quanto ha semplicemente dato il pattuito. Dovremmo scioperare perché… egli è buono. Ma è sin troppo evidente che la nostra, lungi dall’essere una particolare sensibilità per il valore della giustizia, sarebbe solo invidia. Spesso è così, nella vita di tutti i giorni: siamo semplicemente invidiosi, ma rivestiamo la nostra invidia con nobili propositi e ci atteggiamo a paladini della giustizia, della libertà, della democrazia, eccetera… L’invidia è una forma particolare di tristezza interiore che ci assale quando non sappiamo valutare attentamente ciò che noi siamo e abbiamo e ciò che l’altro è ed ha. Proprio così: l’invidia nasce sempre da un duplice errore di valutazione. Il terreno fertile per l’invidia è quello di una scarsa conoscenza e stima di se stessi, al punto tale che la felicità dell’altro ci provoca sofferenza. Così come, nella parabola, la bontà del padrone verso chi ha lavorato meno crea disagio a chi è stato chiamato nella vigna sin dall’alba, ma non sa vedere la propria fortuna, e crede che sia meglio l’essere stati disoccupati sino alle cinque del pomeriggio. Tipico dell’invidioso è il soffrire perché la propria bottiglia è mezza vuota, dimenticando così che è anche… mezza piena. Proteggendosi dalla luce che emana dagli altri e che gli dà fastidio, l’invidioso diventa cieco relativamente alla propria capacità di illuminare. Attenti, perché l’invidia ha la forza di distruggere una comunità nella sua stessa essenza: si diventa incapaci di cogliere le qualità dell’altro e si misconoscono le proprie. Una comunità di invidiosi diventa ogni giorno sempre più povera e triste, oltre che litigiosa.

Dicevo: è un errore partire dalla fine della parabola, perché non ne comprendiamo l’essenziale. Proviamo a leggere la parabola dall’inizio, cogliendo l’immagine di Dio che ne viene fuori.

Innanzi tutto, siamo messi di fronte con meraviglia ad un Dio che esce continuamente dalla sua divinità per incontrare l’uomo. Esce ben cinque volte in un giorno. Dovremmo esclamare, meravigliati: quanto ama l’uomo questo Dio che esce per offrire lavoro e per dare un salario. Dio offre: questa è la bella notizia. Non un Dio che pretende, che comanda in modo anonimo e lontano, ma un Dio che offre.

Dio non si stanca mai di uscire, perché vuole raggiungere tutti gli uomini. Dio offre a tutti il suo lavoro ed il suo salario. Nel regno di Dio si può sempre iniziare a lavorare, ciò che davvero conta è accettare l’offerta di lavoro. Tutti presi dal finale della parabola, rischia di sfuggirci un dato essenziale, ed è che, pur chiamati in orari diversi, tutti gli operai sono andati a lavorare nella vigna. Quindi: Dio offre e ripaga con un salario che va oltre il merito, ma bisogna assolutamente rispondere alla sua chiamata.

E qui scopriamo un terzo aspetto: al momento della distribuzione dei salari, ci accorgiamo che Dio offre a tutti la stessa possibilità. La stessa paga accomuna gli operai, ovvero: non c’è che una sola e unica salvezza per tutti quanti hanno accolto la chiamata di Dio. Certamente, i battezzati della prima ora – posto che abbiamo lavorato nella vigna con assiduità – potranno dire di essere più «meritevoli» della salvezza rispetto ai convertiti dell’ultima ora, che invece avranno beneficiato maggiormente della bontà del padrone. Ma anche i primi dovranno riconoscere che è stata questa stessa bontà di Dio a chiamarli a lavorare nel Regno sin dall’alba e, se hanno lavorato con l’animo giusto, riconosceranno di essere stati addirittura più fortunati rispetto a quanti invece sono stati oziosi nella piazza fino a sera.

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