Colpo di testa 36 / Il vero modello della scuola di Barbiana

Corriere di Como, 20 giugno 2017

Oggi un Papa si reca a Barbiana per pregare sulla tomba di un prete morto cinquant’anni fa. Mezzo secolo dopo la Chiesa – quella istituzionale, l’unica talvolta ritenuta tale anche dal mondo cosiddetto laico – riconosce che don Lorenzo Milani aveva messo in pratica il Vangelo di Gesù coniugandolo come un grande disegno di attenzione all’uomo e come un serio impegno educativo calato dentro un concreto modello di scuola. Sarei, però, molto attento a trarre facili conclusioni dalla visita privata di Papa Francesco a Barbiana (preceduta dalla visita, sempre oggi, a Bozzolo sulla tomba di un altro prete scomodo, don Primo Mazzolari). Qualcuno ha già parlato di «riabilitazione», secondo un modello di lettura che è ancora verticistico. L’autentico messaggio cristiano quando penetra dentro la storia umana parla da solo e non ha bisogno né di riconoscimenti aggiunti né di riabilitazioni tardive. E poi, domandiamocelo senza pudore: è la Chiesa che riabilita don Milani e don Mazzolari, o sono i due preti scomodi che riabilitano la Chiesa? E, posto che la Chiesa esprima con un gesto esplicito del Papa il suo rammarico per non aver capito allora, c’è il rischio che sia solo il gesto di papa Francesco, e che, anche al livello gerarchico della Chiesa, qualcuno non sia d’accordo. E sia. Lo spirito critico non mi fa paura. Temo di più la sindrome del gregge.

E a tal proposito mi pare importante ricordare che la scuola di Barbiana – quella che si inventò il prete fiorentino, mandato in esilio nel Mugello dal suo arcivescovo – non deve essere intesa come una scuola povera, ma semmai come una scuola per poveri. A frequentarla erano ragazzi che non potevano avere un’istruzione, e che furono letteralmente trascinati dentro un’esperienza educativa ricca di contenuti e di opportunità e capace di creare uno spirito critico. Don Milani rifuggiva, anche per la sua formazione culturale e teologica, da una facile approssimazione. Non voleva insegnare a leggere e a far di conto, l’essenziale per non soccombere, tanto di più non sarebbe servito a quei ragazzi per fare il contadino. Egli aveva idee grandi per loro, voleva prepararli a vivere nel mondo non da subalterni, e a chi frequentava la sua scuola chiedeva un sacrificio non di danaro, ma di tempo e serietà sì.

La scuola di Barbiana è, dunque, ancora oggi un modello di vera scuola. Anzi, lo è soprattutto oggi, in tempi in cui la tendenza al ribasso non è un rischio, ma una tragica realtà. Vera scuola, perché centrata sulla fatica del sapere e dello studiare. Vera scuola, perché il tempo pieno non è affatto un parcheggio prolungato, ma è coinvolgimento della vita secondo i ritmi di una pedagogia lenta ma efficace. Tutte cose che oggi si faticano a trovare, motivo per cui l’entusiasmo manifestato per la scuola di Barbiana mi pare talvolta posticcio e di maniera, perché poi si fa l’esatto contrario. Riabilitare don Milani non è una bella cerimonia. Significa, anche per la Chiesa, decidere di investire di più nella cultura, andando oltre le mense e i dormitori.

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