SECONDA DOMENICA DI PASQUA – ANNO A
Le mani e il fianco. Quella prima Eucaristia celebrata dal Risorto con i suoi discepoli ha il suo centro nelle mani e nel fianco che Gesù mostra loro. Conosciamo quelle mani. Sono le mani che nel Cenacolo hanno preso il pane e lo hanno spezzato, condividendone la fragranza del dono con parole forti e chiare: «Questo è il mio corpo, offerto per voi». Nelle mani che spezzano il pane, Gesù dona se stesso. E quelle mani sono quelle che lavano i piedi dei discepoli, prima di essere innalzate al Padre nella preghiera drammatica del Getsemani e prima di finire inchiodate sulla croce in un pomeriggio di morte. Gesù mostra le sue mani perché esse portano il segno del dono totale: la forma del pane spezzato, la forma della croce, che abbiamo contemplato nei giorni santi della Pasqua, ora è come rafforzata e perennemente ricordata da quelle mani vive che portano per sempre la ferita che ogni dono autentico comporta.
Ma Gesù mostra anche il fianco, quel fianco in cui Tommaso vorrebbe mettere la sua mano. Anche il fianco, come le mani, porta una ferita provocata dalla lancia del soldato in quell’ultimo tentativo di accertare la morte di Gesù crocifisso. L’ultima ferita inferta a Gesù mostra in realtà non la sua morte, ma il mistero di una vita che continua. Infatti, da essa scaturì un fiotto di sangue e acqua, simbolo eloquente dei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia su cui si fonda la Chiesa, corpo di Cristo che continua ad essere presente nella storia. Come dal fianco di Adamo, aperto nel sonno, uscì Eva, dono e compagnia per l’uomo, così dal fianco di Cristo, squarciato nel sonno della morte, uscì la Chiesa, dono e compagnia per la nostra umanità che cerca la salvezza.
Questo mistero si rinnova nel fianco mostrato dal Risorto ai suoi discepoli. È come un ripetere ancora il «Fate questo in memoria di me!». È un invito a tenere aperto quel fianco nel corpo vivo della comunità cristiana e a farvi uscire continuamente il fiume di salvezza dei sacramenti. È un appello a far sì che la nostra vita assuma la forma del fianco aperto, del dono tenace che sa andare oltre la morte. È un simbolo eloquente, quello del fianco aperto, che oggi siamo invitati a leggere nella compagnia di Tommaso, l’apostolo a cui il Risorto dice: «Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Siamo abituati a considerare Tommaso come il capostipite degli increduli che vogliono verificare tutto prima di credere. In realtà, Tommaso è l’apostolo che più ci rappresenta, è quello che maggiormente ci fa stare vicini al fianco squarciato di Gesù. E, siccome noi siamo nati da quella ferita, e lì troviamo continuamente il sangue e l’acqua che ci salva, Tommaso che vuole mettere la sua mano nel fianco di Gesù è colui che, avendo visto, aiuta a credere noi che non abbiamo visto. Tommaso vuole toccare con mano l’origine dell’amore, la ferita provocata dal dono, il segno finale di un corpo straziato. Perché dargli contro? Come dargli torto? Lui nel Cenacolo non c’era, quella sera del primo giorno dopo il sabato, solo perché più di tutti aveva patito la delusione per un progetto finito male. Lui non c’era perché non sapeva come tornare in quel luogo in cui il Signore Gesù aveva cenato per l’ultima volta con loro. Non c’era per il troppo amore ferito. Non c’era perché non capiva come avessero potuto uccidere Gesù, l’amore in persona, il dono per eccellenza. E non capiva come loro, i suoi apostoli, avessero potuto abbandonarlo per poi chiudersi, impauriti, in quella stanza in cui poche ore prima Gesù aveva celebrato il Dono di sé.
Anche noi sentiamo il peso dell’anima nel tornare qui, sul luogo dell’Eucaristia, ogni domenica, portando la miseria dei nostri fallimenti settimanali, dei nostri tradimenti, dei nostri rinnegamenti, dell’incapacità sempre nuova ad accettare che i sogni, anche i più belli, siano crocifissi. Anche noi, come Tommaso, vorremmo toccare con mano che la risurrezione non è un angelico salto in un mondo virtuale, ma porta indelebili i segni umani della sconfitta e della morte. Ebbene, celebrando insieme l’Eucaristia, anche a noi, oggi, il Signore Gesù – lo stesso che non sono riusciti a portare via a Maria di Magdala – ripete: «Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». Vuole che tocchiamo con mano che l’amore è ferito, ma è vivo per sempre.
Se veramente sentiamo un peso sull’anima, perchè non confessarsi bene prima di ricevere l’Eucaristia alla domenica ? Senza confessione, l’eucaristia non fa piazza pulita sui peccati…..Grazie Don Agostino, è sempre un arricchimento leggere i suoi commenti.