VENERDÌ SANTO – PASSIONE DEL SIGNORE
Abbiamo ascoltato le parole profetiche di Isaia: «Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo -, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, perché vedranno un fatto mai a essi raccontato».Anche la nostra bocca vorrebbe chiudersi di fronte al fatto che ci è stato raccontato: sulla croce c’è la carne di Dio che muore, e basta questo ad accendere lo stupore e a generare il silenzio. La forma del pane spezzato, quella che nel Cenacolo Gesù ha istituito per rendere perenne il suo amore «fino alla fine», quella forma si è sfigurata – «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» dice Isaia – e ci appare sotto un’altra forma, quella della croce. Gesù non si è limitato alle parole: ha fatto quello che ha detto. La lavanda dei piedi era solo un esempio. Un esempio della croce, l’unico avvenimento nel quale davvero tutto «è compiuto».
La forma della croce è il dono. La forma della croce è il sacrificio. Dono e sacrificio sono due realtà che noi tendiamo a separare. Il dono ci richiama qualcosa di bello e gratificante, mentre il sacrificio porta con sé l’idea della fatica e della costrizione. La forma della croce tiene insieme la libertà del dono e la necessità del sacrificio, proprio quella libertà gioiosa e quella necessità odiosa che noi vorremmo separate. La forma della croce rappresenta la perfezione dell’amore, perché non è né una retorica del dono né tanto meno un’esaltazione della sofferenza. Se qualcuno mi chiede di spiegargli la croce, ebbene io non so dare una valida spiegazione. Ha ragione il filosofo francese Jacques Maritain: «Non si accetta la croce, la si prende, si adora la croce». È esattamente il gesto che la Chiesa ci domanda stasera dopo aver ascoltato la Parola che ci ha rivelato dove è finita la forma del pane spezzato, ovvero nella forma della croce. La croce non è qualcosa da capire, né qualcosa che si può spiegare. È Qualcuno che si può soltanto adorare.