Corriere di Como, 24 gennaio 2017
Ho fatto un sogno. Sotto la valanga che ha sepolto l’Hotel Rigopiano è rimasta intatta la sala televisione. Lo schermo 32 pollici ultrapiatto è ancora acceso. La maggior parte dei dispersi sono lì, accomodati sui divani, e guardano – facendo zapping – le infinite dirette che si susseguono in ogni ora del giorno e della notte. La televisione è un mezzo unidirezionale, parla solo lei, non puoi interromperla, non puoi comunicare con questo mezzo di comunicazione, puoi solo spegnerla. Ma, nel mio sogno, quegli uomini e quelle donne – che tra l’altro ogni tanto si vedono ritratti in scatti di grande felicità e serenità nell’elenco spettrale dei «dispersi» – stanno bene e, come ogni persona che non può fare altro, guardano la televisione, perché spegnerla? Non possono indicare la via ai soccorritori, ma sperano che essi la trovino e che, prima o poi, il muro dietro al televisore si apra miracolosamente e appaia uno di quegli angeli vestiti di rosso e di giallo che si muovono sopra la neve. Sperano che la realtà buchi lo schermo…
Intanto stanno a vedere le immagini, sempre le stesse. Anche loro, come milioni di italiani, non riescono a staccare gli occhi dal teleschermo. Del Rigopiano, dei canaloni del Gran Sasso a rischio quattro su una scala di cinque, delle faglie sotto il lago e le dighe di Campotosto, delle frazioni isolate nel Teramano ove le porte non si aprono più dall’interno perché fuori c’è troppa neve, ecc. di tutto questo e di altro – comprese le polemiche, le indagini, le supposizioni, le mail inviate e le telefonate non credute – anch’essi, i dispersi più ricercati del mondo, sanno tutto. La potenza della comunicazione è questa: ti fa sapere tutto (anche quello che non serve, anche quello che non è vero) ma ti lascia disperso sotto la valanga.
Il mio sogno poco a poco trascolora in un incubo. No, nessuna paura, non crolla il soffitto della sala televisione, la speranza è salva. L’incubo è il valzer delle chiacchiere, il balletto degli esperti, lo spettacolo delle emozioni che anche loro, i dispersi, devono sorbirsi. Del resto, essi sono lì sul divano della sala televisione, perduti in uno schermo che miracolosamente ancora funziona. Magari pensano a come deve essere dura, invece, per un povero inviato stare al freddo giorno e notte, davanti all’ospedale di Penne o lungo la strada di Farindola che porta al Rigopiano, e spalmare il nulla in decine e decine di collegamenti (magari con la scritta «esclusivo» in perenne sovraimpressione), un nulla che poi, nello studio di Roma, psicologi, sismologi, giornalisti, politici, tuttologi devono in qualche modo commentare. E, tra un balbettio e l’altro, tra un’ostentazione del proprio sapere e una confessione della propria ignoranza di fronte all’imponderabile, inseriscono una doverosa lode ai soccorritori che lavorano da giorni senza sosta (e così si scatena un applauso liberatorio).
Nel mio sogno sfociato in incubo non si vede altro. Sarebbe bello se quella stanza rimasta intatta e piena di superstiti a raccontarcela sia proprio la televisione!