Commuoversi e… toccare

DECIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C

Pale di San Martino dalla Baita SegantiniAccade anche a noi di non sapere che cosa dire di fronte a certe tragedie. Pensiamo a quella tragedia che incrocia il gruppo di Gesù che sta entrando a Nain proprio nel momento in cui vi sta uscendo un corteo funebre. Una donna rimasta vedova perde anche il figlio, una immane tragedia che toglie le parole di bocca. Non si sa che cosa dire e il rischio più atroce è che si giri lo sguardo dall’altra parte: chiusa la bocca e chiusi anche gli occhi! Invece, ecco Gesù: egli vede, tiene aperti gli occhi su quella povera donna e «vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei». È Signore perché sa vedere e sa far passare quella immagine nelle sue viscere di misericordia, e la misericordia lo spinge a compiere due gesti che vanno oltre le parole che non si trovano: «si avvicinò e toccò». Commuoversi non è affatto restare in superficie, ma è un percorso in cui l’immagine scende nel profondo di noi stessi e da lì fa risalire, sino ai piedi e alle mani, un impulso ad avvicinarsi e a toccare. Se non c’è questo passaggio tutto finisce con l’essere epidermico. Purtroppo ci accade spesso di incrociare tragedie che restano però bloccate dentro lo schermo del televisore, non ci penetrano più nel profondo, si imprimono sulla retina ma non vanno nelle viscere, e così il nostro corteo prosegue verso il cimitero, senza produrre nessun vero avvicinamento e coinvolgimento. Questo atteggiamento si chiama abitudine, ed è la morte della compassione, il funerale della misericordia. Talvolta ci si autoassolve, pensando: «In fondo, che cosa posso fare io? Nulla». No, puoi vedere, commuoverti, avvicinarti, toccare. Certo, se a toccare è Gesù, tutto si trasforma in vita, anche ciò che è stato dichiarato morto. Ma ci sono miracoli meno eclatanti, che sono comunque alla portata della nostra umanità e che non sono meno importanti: miracoli di attenzione, di vicinanza, di consolazione. Senza lasciarci immobilizzare da quella sensazione di impotenza che, unita ad un briciolo di indifferenza, ci fa tirare dritto, tutti assorti nei nostri pensieri, in una partecipazione solo superficiale.

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