GIOVEDÌ SANTO – Cena del Signore
Omelia sotto forma di preghiera pubblicata in: AGOSTINO CLERICI, Incontrare il Risorto. Riflessioni per il Triduo pasquale, Paoline, Milano 2010, 29-32
Signore Gesù, a noi, esperti navigati dell’«amore a tempo»,
dai stasera la lezione magistrale dell’«amore sino alla fine».
Lo fai invitandoci a cena come quella sera con i tuoi amici.
Venendo alla luce, ciascuno di noi ha imparato a riconoscere l’amore a partire dal cibo.
Senza poter parlare ciascuno di noi ha detto: «Ho fame»,
e senza poter capire ha riconosciuto l’amore in colei che ci dava il suo latte come cibo.
Chi si lascia mangiare mi ama, e mi ama sino alla fine…
Non è forse il mangiarsi a vicenda il desiderio latente in ogni autentica passione amorosa?
Ebbene, Tu quella sera hai scelto di darti da mangiare a noi proprio per dirci che il tuo amore non è… «finché dura».
I nostri sono spesso così. Pieni di propositi e vuoti di tenacia.
Amiamo con l’orologio. Amiamo con la bilancia.
Siamo addirittura diventati sospettosi di fronte al dono, perché temiamo che ci sia un trucco,
che l’amore ricevuto non sia gratis ma nasconda una richiesta di contraccambio.
Temiamo l’abbondanza. Vi vediamo un eccesso, uno spreco.
Come Giuda, ci lamentiamo del troppo prezioso profumo che Maria a Betania versa sui tuoi piedi.
Forse per questo, come Pietro quella sera, facciamo fatica a contemplarti nell’abbondanza del tuo amore
che giunge come profumo sino ai nostri piedi.
Hai deposto i vestiti e ti sei cinto di un asciugamano,
ti sei come nuovamente spogliato della tua divinità per prendere l’indumento della nostra umanità.
Lo hai fatto per mostrarci che è quella la tua veste divina: un amore che sa andare sino alla fine, sino ai nostri piedi!
Le tue mani, lasciaci contemplare le tue mani nell’atto di lavare i nostri piedi!
Il Padre ti aveva dato tutto in quelle mani sante e venerabili e Tu le hai messe in un catino
le hai fatte scivolare sui nostri piedi, in segno di potenza, una strana potenza, l’unica vera potenza.
Tu che avevi tutto nelle tue mani, ti sei chiuso in una stanza, inchinato a terra per lavare piedi.
Poi hai rimesso il tuo vestito di Maestro e Signore, per dirci che avremmo dovuto seguire il tuo esempio,
e noi, invece, stasera, siamo qui ancora stupiti per il tuo gesto
ancora increduli e ancora dobbiamo imparare la sublime arte del catino.
Impararla e imitarla nella vita.
Le tue mani, lasciaci contemplare le tue mani nell’atto di spezzare il pane e di versare il vino!
Ci nutri e, nutrendoci, ci trasformi in nutrimento per questo mondo che chiede un pane e che non ha più vino.
«Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?»
Noi riceviamo da figli il tuo pane, ma non diventiamo il tuo pane e, spesso, il nostro cuore è duro come la pietra.
Fa’ che possiamo essere trasformati in pane nel forno del tuo «amore sino alla fine»
e rendici discepoli sempre più fedeli alla scuola dell’Eucaristia.
Ora, Signore, contempla Tu le mie mani.
Le mie mani di prete, che devono lavare i piedi, spezzare il pane, versare il vino.
Resta un mistero perché Tu abbia scelto le mie mani, ma è certo che continui ad affidarti ad esse.
Rendile docili ai tuoi comandi e desiderose del tuo perdono.
Fa’ che non rifuggano dal catino e amino… sino ai piedi.
Fa’ che chiunque le incontra, possa dire di aver incontrato Te.
Fa’, soprattutto, che il pane che esse consacrano non resti sull’altare, ma sia spezzato con la mia vita. Amen.