VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B
Il gesto segnaletico di Gesù è tenere un bambino in mezzo e abbracciarlo. Noi rischiamo di essere investiti da un moto di romanticismo, quando ascoltiamo nel vangelo questo episodio. Eppure, lo scopo di Gesù è un altro. Egli si identifica con quel bambino, chiede il nostro abbraccio come gesto di accoglienza. Il bambino è immagine eloquente dell’«ultimo di tutti» che, però, diventa «il primo» nella misura in cui è accolto. Al tempo di Gesù i bambini non avevano l’importanza che, comunque, hanno oggi per noi. Erano proprio gli ultimi. Gesù ne prende uno e lo mette al centro e insegna ad abbracciarlo, indicando chiaramente che è proprio Lui, Gesù, il «bambino» da accogliere. Tutto è stato originato da una discussione che ha appassionato i discepoli lungo la via: «avevano discusso tra loro chi fosse più grande». Ci consola sapere che questo tema, che purtroppo continua ad appassionare la nostra Chiesa, è nato sulla strada, tra discepoli che camminavano con Gesù. Ci consola sapere che Gesù li ha lasciati discutere, che non si è arrabbiato, che li ha fatti sedere e ha dato loro il criterio per decidere «tra loro chi fosse più grande». Come sempre, poche parole chiare e taglienti: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Non ci ricordano forse, queste parole, quelle altre parole appena pronunciate: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»? Andare dietro a Gesù è il modo di essere «il primo», ma bisogna essere «l’ultimo di tutti», rinnegare se stessi e prendere la propria croce. Il messaggio è identico, anche se espresso con parole diverse. Il gesto del bambino messo in mezzo ed abbracciato aggiunge a queste parole la carica dell’azione, la forza che solo un esempio sa dare, il suggerimento evidente a non cercare più Gesù – il quale non cammina più sulle nostre strade e noi, anche volendolo, non possiamo più discutere al suo fianco – a non cercarlo più nella sua unicità, ma a cercarlo nella sua molteplicità. Egli, ora, si manifesta nei tanti ultimi di cui ogni storia è piena. Il bambino che Gesù abbraccia rappresenta Gesù stesso, in quella particolare forma molteplice in cui egli continua ad essere presente in mezzo a noi. Se vogliamo accogliere Lui, oggi, basta che accogliamo anche «uno solo di questi bambini», uno solo degli ultimi di questo mondo, e saremo sicuri di aver accolto non solo l’uomo Gesù, ma Colui che lo ha mandato. L’incontro con Dio passa necessariamente dall’accoglienza dell’uomo, e più quest’uomo è «ultimo», più io, che lo accolgo, divento «il primo» agli occhi di Dio stesso.
I discepoli avranno capito che avevano discusso invano. Pietro si sarà pentito di aver fatto valere il fatto che Gesù lo avesse chiamato «roccia», per cui «il primo» era certamente lui. Giacomo avrà capito che il fatto di vantare una parentela di sangue non ha nulla a che fare con l’essere discepoli che seguono e portano la croce. Giovanni avrà sicuramente realizzato che la sua posizione privilegiata nella scala affettiva di Gesù – era o non era il «discepolo amato», il «prediletto»? – non lo faceva automaticamente diventare «più grande». E Giuda si sarà reso conto pure lui che tenere i soldi non gli dava alcun potere particolare, visto che anche quel ruolo era semplicemente un servizio… Lo avranno capito? Se sono come noi, forse no. Noi facciamo così fatica a entrare nella misurazione di Gesù! Ogni volta che incontriamo qualcuno che ha le parvenze dell’«ultimo», abbiamo, nella mente e sulla bocca, tante scuse per non accoglierlo e abbracciarlo. Crediamo che il potere, la parentela, gli affetti e i soldi siano i veri criteri per decidere chi è più grande e ci perdiamo in mille discussioni, lasciando lì, in attesa davanti ai nostri occhi, Gesù, nascosto nell’ultimo di tutti. I bambini stessi, che abbracciamo e coccoliamo, a cui diamo tante cose da mangiare e da vestire, che iscriviamo a tanti corsi, che imbottiamo di televisione e di sport – c’è da domandarselo seriamente – sono veramente al centro? Siamo preoccupati della loro crescita? Scendiamo noi verso di loro, oppure sogniamo semplicemente che diventino grandi come noi? Il vangelo che abbiamo ascoltato oggi, come vedete, non è poi tanto romantico come pensavamo!