Una lettrice del blog – che sta leggendo anche il mio libro L’albero della vita – mi ha posto una domanda intelligente circa la ricaduta pedagogica e pastorale del cambiamento di paradigma che io propongo come necessario nel mondo di oggi. Detto molto semplicemente: tu (che sarei io) sostieni che bisogna percorrere la via della bellezza e del desiderio, mentre per secoli abbiamo battuto quasi unicamente la via della conoscenza e della morale; ma che cosa significa concretamente? che dobbiamo abbandonare il vero e il bene per gettarci sul bello? e come si fa?
Il problema non è in sé, perché su questo versante – e ce lo insegnano già i medievali – possiamo sicuramente dire che l’essere, il bene, il vero e il bello sono la stessa realtà (e non quattro realtà distinte). Il problema è per noi, per gli uomini e per le donne del nostro tempo, che sono diventati impermeabili a tutto ciò che puzza (o profuma) di verità e di bene, e che in un certo senso lo rifiutano a priori, nella convinzione che ciascuno possa costruirsi la sua vita in una autonomia intoccabile. Il problema è a livello non del vero e del bene, ma della possibilità di veicolarlo, di annunciarlo, di farne innamorare l’umanità. Un problema, come si può intuire, che riguarda non certo marginalmente la stessa proposta cristiana, che è essenzialmente annuncio di un messaggio e incontro con l’uomo.
Sempre più spesso mi accorgo che ho il dovere di conoscere, di documentarmi, di articolare il mio pensiero, di studiare – e lo debbo fare in un confronto aperto e dialogante – ma poi faccio anche l’esperienza – talvolta deludente e frustrante – di trovarmi di fronte a volti smarriti quando cerco di impostare la mia evangelizzazione con un registro che è costantemente conoscitivo ed etico. I volti smarriti sono quelli degli uomini e delle donne di questo tempo imbevuto di luoghi comuni, di «mi piace» e di «secondo me». La porta è chiusa e tale rimane. Io posso aver costruito il sistema più perfetto e più solido, ma non riesco più a fare breccia nel cuore e nella testa dell’uomo di oggi. Pedagogicamente e pastoralmente, sono in un vicolo cieco.
Faccio un esempio in riferimento ad argomenti oggi di scottante attualità: il matrimonio tra persone dello stesso sesso e non solo tra uomo e donna, il gender come fattore culturale e non naturale, l’omosessualità come scelta e non come “malattia”, l’aborto come autodeterminazione della donna e non come eliminazione di un essere vivente, l’eutanasia come supremo atto di pietà umana e non come omicidio. E potrei continuare. Argomenti di cui la gente spesso non sa niente. O meglio, conosce le quattro idee ben confuse diffuse dai media o dagli urlatori del pensiero unico. E magari, questa stessa gente – formata anche da tanti cristiani della domenica – prende una posizione su questi argomenti a partire non dalle idee e dalle conoscenze (che non ha), ma dalle emozioni vissute o anche solo sentite raccontare. Tutte le volte che io – buon cattolico che si è documentato e che ha ragioni da vendere – perseguo ostinatamente la via della verità e del bene, raggiungo assai spesso il risultato contrario. È come quando cerchi di togliere il cerume dall’orecchio con un bastoncino cotonato: lo cacci sempre più dentro, sino a creare un tappo. È la via sbagliata, e non perché sono errate le mie ragioni, ma perché non è con la ragione – con la conoscenza e l’etica – che posso sperare di scalzare un pensiero divenuto ormai maledettamente debole e una morale per così dire allo stato umorale.
Diciamolo chiaramente. Noi cristiani per troppo tempo abbiamo creduto di convincere il mondo, ma lo abbiamo solo costretto, sino a quando i cristiani stessi – da buoni utenti del vangelo buonista della libertà e della grazia – si sono accodati, talvolta con il sorriso sulle labbra, al pensiero comune, quasi mai per convinzione, quasi sempre per comodità di essere aggregati al «così fan tutti» (che è un criterio socialmente molto utile e redditizio!).
Prendete la partecipazione alla Messa. Abbiamo insistito per decenni sul precetto festivo in modo ossessionante e abbiamo magari riempito le chiese, ma sicuramente abbiamo perso l’occasione di far balenare anche solo l’idea che andare a Messa è bello (e non solo giusto, perché, se non ci vai, poi vai all’inferno!). Adesso che i precetti (non solo quello festivo) non contano più nulla e non mettono più paura a nessuno, sulla Messa rischiamo di dividerci – i pochi che la frequentano –, se è un sacrificio o un’assemblea, se va detta in latino o in italiano, se bisogna usare il rito nuovo o quello vecchio, e ancora una volta stiamo perdendo di vista la vera questione estetica ed estatica dell’Eucaristia (nel mio libro ne parlo).
Ecco: tornando ad uno dei temi del momento, continuare a ripetere che l’unico vero matrimonio è quello tra un uomo e una donna è necessario, ma non sufficiente. Anzi, è profondamente insufficiente e rischia pure di essere ininfluente e inefficace. Bisogna dirlo e scriverlo, ma soprattutto bisogna affidarlo all’umiltà – e insieme alla forza – del farlo vedere. I coniugi cristiani devono essere convinti diffusori della bellezza del matrimonio, ed i giovani devono poterne subire il fascino. In una società come la nostra – soprattutto se passeranno certe proposte di legge – in cui la parola stessa «matrimonio» rischia di essere poco più che un’etichetta generalista, ciò che conta è il fascino del matrimonio tra due cristiani, facendo vedere – e non solo con un argomentato discorso teologico – che essere marito e moglie, padre e madre è di una bellezza sconvolgente (non disgiunta certo da una fatica quotidiana). Un giovane qualche settimana fa mi ha chiesto: «Perché dovrei sposarmi in chiesa, se il volto di chi si sposa in chiesa è identico a quello di chi si sposa in comune o va a convivere?». Domanda pertinente. A cui si risponde con l’estetica della vita, e non con l’etica delle regole.
Insomma, a me pare che la via della bellezza e del desiderio – «estetica» ed «estatica», come le chiamo nel mio libro – sia oggi l’unica capace di affascinare e, forse, anche di convincere veramente.
E, allora, potremo e dovremo approfondire sempre più la bio-etica. Ma è quanto mai urgente che si viva con passione ed entusiasmo una bio-estetica!