Tralci che rimangono nella vite

QUINTA DOMENICA DI PASQUA – Anno B

EPSON DSC pictureIl pastore e le pecore sono due cose diverse. È vero, il pastore autentico è disposto a dare la vita per le sue pecore. Ma è il dare la vita per un altro. Nel vangelo che abbiamo ascoltato oggi c’è la rivelazione di un rapporto ancora più stretto. L’immagine della vite e dei tralci approfondisce ulteriormente quella del pastore e delle pecore che abbiamo ascoltato domenica scorsa. La approfondisce nella direzione della appartenenza: non siamo qualcosa di esterno che appartiene a Cristo, siamo un tutt’uno con Lui. Lui e noi siamo davvero una cosa sola. Quando guardo la vite quasi non distinguo più dove finisce la vite e dove iniziano i tralci. Gli apparteniamo così. Questo, almeno, è il desiderio della Vite Gesù Cristo.

Talvolta vi sono tralci che si sono staccati da Lui e magari pensano di poter costruire qualcosa che possa ancora chiamarsi cristiano, ma non è possibile. Non lo dico io, lo dice Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla».

Rimanere in Gesù: una parola! Abbiamo mille occasioni ogni giorno per staccarci, mille tentazioni che ci invitano ad una falsa libertà lontani dall’unica vite. Ed è proprio così vero, poi, che senza Gesù non possiamo fare nulla? Abbiamo davanti agli occhi tante persone che Gesù l’hanno conosciuto e poi abbandonato, e sembra che riescano a fare tutto, e, se non proprio tutto, almeno qualcosa. Mi capita spesso di ascoltare la lamentela di cristiani che ce la mettono tutta a rispettare il Vangelo, talvolta vivendo questa fedeltà con fatica e non senza sacrifici, e vedono che tanti altri, i quali vivono a casaccio e facendo un po’ quello che vogliono, stanno meglio di loro e ottengono tante soddisfazioni. Non so mai come rispondere, perché è difficile misurare la felicità reale di una persona: saranno poi veramente felici coloro che sembrano esteriormente soddisfatti? Talvolta non è così: l’infelicità cova sotto l’apparente appagamento. Ma è anche difficile andare contro l’evidenza del momento presente: quel tale, anche se per poco, anche se in modo provvisorio, sta bene, sta meglio di me! Mi vien da ricordare una cosa: uno che sta attaccato alla vite di Gesù – e non nego che questo richieda qualche sacrificio – deve sapere che i frutti si vedranno in autunno, e i grappoli, pur abbondanti, saranno gioia degli occhi per poco, perché poi devono finire nel torchio, se vogliono diventare ottimo vino. Ci sono viti rigogliose nel mondo, ma poi si scopre che è un’abbondanza di foglie, ma di frutti… niente. E poi ci sono viti che danno uva acerba, che non matura mai. Vi sono viti che l’uva la mangiano solo gli uccelli. Insomma, ciò che desidera la vera vite per i tralci che stanno uniti a lei non è apparenza, ma la gioia, la bellezza dell’appartenenza. Rimanere in Gesù è già un frutto. Rimanere in Gesù è bello, anche se talvolta è diventato faticoso in un mondo che ha abbandonato Gesù. Occorre tenacia non disgiunta alla virtù della speranza.

Occorre anche ricordare un’altra verità contenuta nelle parole di Gesù nella pagina evangelica odierna. Egli parla di un agricoltore che saggiamente distingue i tralci da tagliare e i tralci da potare. Un gesto che sembra simile, apparentemente uguale. Eppure c’è un taglio improduttivo e c’è un taglio salutare – la potatura – operato affinché il frutto sia moltiplicato. Non subito, non visibilmente, perché se guardo una pianta potata ho immediatamente l’impressione di una pianta ferita, ma se ripasso di lì a un po’ di tempo, la ritrovo più verdeggiante di prima. Il taglio è per la morte, la potatura è per la vita: questa è la grande verità contenuta nel gesto del vignaiolo.

Tagli nella vita di ciascuno di noi ce ne sono tanti. Chi voglia vivere senza mai operare tagli si condanna ad essere una pianta improduttiva, folta di foglie ma povera di frutti. In più, rimanere uniti alla vite vera che è Gesù comporta il particolare beneficio di essere affidati all’arte del Padre agricoltore, che sa come usare le forbici e procede – di questo devo fidarmi, certo – con la sapienza del Creatore che ha piantato in terra la sua vite, il suo Figlio, e ne custodisce la vita e la fecondità. Talvolta crediamo di poter fare a meno di tagli. Talvolta crediamo di poterli decidere a nostro piacimento. Invece, bisogna appartenere alla vite come tralci che accettano la potatura.

Significa che, quando, da cristiano, mi trovo a dover decidere che cosa scegliere, come concretamente agire in una situazione, la risposta non può che essere: scelgo Gesù e il suo Vangelo. Certo, non troverò entusiasmo, accoglienza piena; magari riceverò rifiuti, sospetti, derisioni. Ma chi è la vite? E chi il tralcio? Lui è la vite e io sono un tralcio, e anche tu sei un tralcio. La forza della vita sta tutta nelle vite e io posso sperare di trasmettere questa energia solo se sto unito alla vite. Non vedo un risultato immediato? Niente paura, è il tempo della potatura. Sembra che come tralcio mi sia impoverito, ma non è così: sono stato solo potato per portare più frutto. Devo crederci: se divento tramite del Vangelo di Gesù, il Vangelo di Gesù risanerà me che lo porto e coloro ai quali lo porto.

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2 thoughts on “Tralci che rimangono nella vite

  1. Grazie Don Agostino della bella meditazione su questo passo del Vangelo di Giovanni veramente affascinante. Ho però’ un quesito che vorrei porLe per poter chiarire ogni mio dubbio. Ho notato che a Messa e in altre occasioni non si parla più di Padre vignaiolo ma agricoltore. Perché’ questo cambiamento, considerando che il vignaiolo e’ colui che coltiva, cura con passione e segue costantemente la crescita della vite ? L’agricoltore e’ un coltivatore più’ “generico” e quindi sminuisce un po’ questa figura. Grazie per la sua attenzione . Mary

    • Agricoltore traduce il termine greco georgos, che significa letteralmente colui che opera sulla terra, sul terreno: il coltivatore, l’agricoltore. Quindi è più generico di vignaiolo. Anche se noi siamo abituati al Padre vignaiolo e lo sentiamo più intimo, credo che la nuova traduzione riconosca al Padre un ruolo ancora più grande e più profondo nel senso di una Provvidenza universale nell’immenso giardino della creazione. Nulla ci vieta però di continuare a chiamarlo vignaiolo…

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