SECONDA DOMENICA DOPO NATALE
Come a tavola, anche alla mensa della Parola in questi giorni riceviamo porzioni abbondanti che ci danno la sensazione di un eccesso di alimentazione. E, mentre ci prepariamo a vivere la solennità dell’Epifania, la Chiesa ci ristora in questa domenica con la bellissima pagina che apre il vangelo di Giovanni, la stessa che viene proclamata anche nel giorno di Natale. A dire il vero, sembra di ascoltare parole che chiudono il vangelo, non sono certo una meditazione a caldo sulla scena di Betlemme e Giovanni le scrive avendo davanti agli occhi l’intera vicenda di Gesù. Indubbiamente vi è qui una sintesi del cristianesimo e si nota anche l’utilizzo di un vocabolario e di un linguaggio che vogliono andare incontro alla cultura della fine del primo secolo dell’era cristiana. Ciononostante questo capolavoro letterario non nasconde, accanto a due sottolineature che avrebbero potuto trovare accoglienza unanime tra gli uomini di quel tempo e che ancora oggi possono essere condivise da tanti uomini e donne del nostro tempo, non nasconde due rivelazioni tipicamente cristiane e che sono legate strettamente alla vicenda umana di Gesù Cristo. Come a dire che Giovanni vuole certo andare incontro alla cultura e alla sensibilità religiosa del suo tempo ma senza annacquare il contenuto del cristianesimo: Gesù Cristo viene innestato dentro le culture umane, ma per portare un virgulto nuovo, non certo per farsi ridurre entro un minimo comune denominatore religioso.
Vediamo allora quali sono le due sottolineature che possono incontrare facile accoglienza tra gli uomini e nelle culture. La prima sottolineatura riguarda il bisogno di un fondamento della realtà attraverso un principio che la possa spiegare tutta. Giovanni mette sulla scena il Verbo, ovvero la Sapienza di Dio che sta in principio (che non vuole indicare tanto un inizio temporale, quanto un fondamento originario del tempo stesso) e dichiara che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste». In principio c’è non tanto qualcosa, ma Qualcuno che dà senso a tutto ciò che, da solo, non lo avrebbe affatto. Una seconda sottolineatura riguarda la descrizione di questo principio e, in un certo senso, la sua potenza, la sua efficacia. Giovanni usa due parole fondamentali – vita e luce – e dice del Verbo che «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». Di un Dio tenebroso gli uomini non sanno che farsene: hanno bisogno di un Dio che squarcia le tenebre, di un Dio che è la luce stessa e che è la vita stessa che essi vivono. Dunque, in principio c’è Qualcuno che dà senso a tutto, essendo la vita e la luce di tutto ciò che esiste.
C’è altro da aggiungere e non si tratta più di considerazioni che possano essere fatte a lume di ragione, ma di vere e proprie scelte divine che, in un certo senso, scombussolano l’evidenza delle due verità che Giovanni ha appena enunciato. Il primo annuncio è che il Principio ha voluto mischiarsi con il tutto di cui è il fondamento. Dice Giovanni: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria». Che ci sia Qualcuno che spiega tutto è un bisogno dell’uomo, che questo Qualcuno diventi uno di noi è un dono di Dio. Che il Verbo sia Dio e sia fuori dal tempo e dallo spazio per dare consistenza al tempo e allo spazio è una verità che può essere cercata e trovata dalla ragione umana. Che il Verbo entri nel tempo e nello spazio rimanendo Dio e diventando uomo, questa è una decisione inaspettata che rischia di far perdere potenza ed efficacia al Principio stesso. E, infatti, ecco il secondo annuncio di Giovanni, che fa entrare in scena il dramma del rifiuto: «Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». È un rifiuto che sembra incredibile, quasi quanto è stupefacente che Dio si sia fatto uomo, e forse proprio perché il Verbo si è fatto carne si è esposto in tal modo al rischio che i suoi non l’accolgano. Ma, raccontando questo attualissimo dramma del rifiuto di Gesù Cristo, l’evangelista Giovanni annuncia anche la beatitudine dell’accoglienza: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio».