SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE – ANNO B
Questa festa natalizia ha lo scopo di calarci nella quotidianità. Il Natale è capace di accendere la poesia della nascita di un bambino e, se lo vogliamo, di ridipingere lo stupore sui nostri volti indaffarati. Ma il Natale è vero se dura nella quotidianità. La Chiesa madre inanella, come in una collana, tanti grani nei giorni immediatamente successivi e, se non siamo distratti, abbiamo la possibilità di incarnare il Natale nella nostra vita. C’è la festa di Stefano, il primo martire cristiano. C’è la festa di Giovanni, l’apostolo dell’amore. C’è la festa dei Martiri innocenti, i bambini uccisi dalla furia omicida di Erode. E c’è la festa della Santa Famiglia. È un percorso di vita in cui il dono di Dio diventa concreto. Cori angelici e pastori sono spariti, Maria e Giuseppe sono alle prese con un bambino che piange, ha freddo, ha fame… D’accordo, è il figlio di Dio, ma è uguale a tutti gli altri bambini e i suoi genitori hanno gli stessi problemi di ogni papà e mamma. Anzi, qualcuno in più. Giuseppe si sarà sicuramente domandato perché deve fuggire in Egitto con Maria e Gesù: è proprio necessario, visto che quel bambino è il figlio dell’Altissimo? Ed è necessario anche quel viaggio a Gerusalemme per adempiere la legge di Mosè e presentare al tempio il primogenito maschio e offrirlo al Signore? Ma non è lui il Signore? Sembra davvero che lo straordinario del Natale si disciolga in una pratica ordinaria, finisca a cercare la sua verità in una trama del tutto normale, segnata da viaggi, fatiche, preoccupazioni, domande. Esattamente quello che accade alle nostre famiglie, anche in questi giorni di festa.
C’è un Giuseppe che ha perso il lavoro proprio nei giorni che hanno preceduto il Natale. Certo, ha festeggiato con la sua famiglia, ma il cuore era gravato dalla preoccupazione: troverà un’occupazione per dare sicurezza alla sua sposa e ai suoi figli? Un altro Giuseppe ha il mutuo della casa da pagare e le rate sono pesanti: ce la farà ancora a condurre dignitosamente la sua famiglia, perché lui non vuole far avvertire troppo la fatica e non vorrebbe far mancare nulla di quello che è necessario. C’è una Maria rimasta sola con i suoi bambini, e a Natale la mancanza del suo Giuseppe in quella casa si è sentita ancora di più, anche se ormai sono passati alcuni mesi dalla sua morte così improvvisa: l’anno scorso c’era, eccome, con la sua gioia e la sua sicurezza, e chi avrebbe mai pensato che non ci sarebbe stato quest’anno, giovane e forte com’era? Ci sono una Maria ed un Giuseppe che hanno passato il Natale adagiando nella mangiatoia – come se fosse ancora una neonata da accudire – la loro figlia, ormai trentenne: le hanno appena diagnosticato un tumore, dovrà essere operata, patirà sicuramente una menomazione… e loro non sanno come essere contenti, come darle coraggio, visto che ne hanno poco anche loro. Ecco che succede al Natale, quando s’incarna nella quotidianità di una famiglia. La porta è chiusa, il “tanti auguri” non risuona più, e dentro restano le preoccupazioni.
La storia di Maria e Giuseppe – e dei tanti Maria e Giuseppe che abitano le nostre case, specie quelle più segnate dalla fatica – s’incrocia oggi con quella di Abramo e Sara. Ormai vecchi, vedono morire la speranza che li aveva messi in movimento tanti anni prima. Abramo «partì per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava» ed ora si ritrova sulla bocca ancora una domanda: «Signore Dio, che cosa mi darai?». Quanta fede, quanta attesa, quanto coraggio nel formulare la sua domanda a Dio! E Dio che cosa fa? «Lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”». All’opera, ecco, c’è ancora e sempre il Dio di Natale, quello che sa portare il cielo in terra, quello che con la bellezza vuole generare lo stupore, Colui che sa riempire l’angusto cuore dell’uomo con tutte le stelle del cielo, che pure l’uomo non sa nemmeno contare. Ciò che disse ad Abramo, Dio lo ripeté a Giuseppe e lo ripete a ciascuno di noi, mentre ci dibattiamo nelle nostre strettoie. Ci porta fuori dai limiti delle nostre conoscenze, ci porta fuori dai limiti dei nostri pensieri. Se vogliamo che il Natale innervi la vita delle nostre famiglie, lasciamoci condurre fuori, lasciamoci aprire gli occhi da Dio.
Bella riflessione. Che Dio si “concretizzi” anche per i tanti giovani laureati e plurilaureati senza fissa occupazione. Questo è uno dei più gravi torti che la società sta facendo nei nostri confronti. Non si possono servire due padroni, Dio e la cupidigia. E la maggior parte dei nostri datori di lavoro sembra aver scelto la seconda…
Lo sa Don Agostino che se manca lo stupore, di cui Lei mi descrive, non ci si può innamorare di quel bimbo adagiato sulla paglia….. In queste ore però, le famiglie indonesiane stanno molto più male di noi per la sorte dei loro figli sull’aereo che è dato per disperso. In queste ore ci sono altre famiglie che lottano nel rogo di un traghetto. Sicuramente c’è un quadretto della Santa Famiglia appeso nelle case degli Italiani, chi non ha una bella fotografia da guardare? Cerchiamo di guardarla con gli occhi della speranza e di sentire la presenza e la perfezione della Santa Famiglia nella nostra quotidianità. Grazie!