Non c’è nulla di più falso che il presentare l’Ascensione come il volatilizzarsi di Gesù Cristo, il suo fuggire nel cielo quasi alla stregua di un allontanamento dalla terra. Noi che i piedi ce li abbiamo per terra – e la testa talvolta nelle nuvole – ci siamo creati questa immagine un po’ olografica dell’Ascensione con il gruppetto degli apostoli tristi e piangenti che se ne stanno con il naso all’insù a veder sparire tra le nuvole il loro amato Gesù. O meglio, questa scena l’abbiamo ricavata con un po’ di approssimazione dal racconto che l’evangelista Luca ci ha fatto di questo episodio all’inizio del libro degli Atti degli Apostoli (che abbiamo ascoltato come prima lettura). Si dice, è vero, dei due angeli che correggono la direzione degli occhi degli apostoli – «Perché state a guardare il cielo?» – e anticipano l’evento finale del ritorno di Cristo alla fine dei tempi – «verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Ma il gruppo degli apostoli è tutt’altro che triste, anzi è baldanzoso: essi vogliono partecipare alla ricostituzione del regno di Israele e chiedono al Signore risorto se è giunto finalmente il momento della riscossa dopo i giorni della passione e della morte. Gesù, in risposta, lascia intendere chiaramente due cose. Dapprima che il regno sarà costituito grazie alla loro testimonianza e non con una azione di forza da parte di Dio, come lasciava intendere la domanda degli apostoli. Poi, però, assicura che egli sarà presente «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» accompagnando l’azione dei discepoli chiamati a battezzare tutti i popoli «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Insomma, l’Ascensione è un avvenimento-cerniera che, mentre chiude la vicenda terrena del Figlio, inaugura la sua missione celeste insieme alla Chiesa. La festa cristiana che è collegata strettamente all’Ascensione è proprio il Natale. La festa odierna ci dice che l’incarnazione non solo non finisce, anzi continua, secondo un’altra modalità che è più ampia nel tempo e nello spazio e che sarà segnata dalla presenza del Cristo nella persona dello Spirito Santo.
Che cosa ci chiede, allora, questa solennità del tempo pasquale? Ci domanda, innanzitutto, il coraggio e la fedeltà della testimonianza cristiana che può essere davvero rivolta a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo. Non c’è nessuno che non possa e non debba essere raggiunto dal messaggio del Vangelo. Siamo chiamati ad insegnare ad osservare tutto ciò che il Signore Gesù ci ha comandato. Lo dobbiamo insegnare a tutti, e naturalmente impararlo ogni giorno noi stessi: se vogliamo essere testimoni, dobbiamo essere prima di tutto discepoli. Certo, la Chiesa dovrà trovare i modi più adeguati di annunciare e testimoniare il Vangelo, sapendo usare con intelligenza i nuovi mezzi di comunicazione, usufruendo dei vantaggi che essi offrono ed evitando i rischi che essi hanno. I cristiani devono abitare le nuove piazze digitali e farlo con competenza, ma vi devono portare la parola del Vangelo e non devono lasciarsi convincere a ridurla ad una brodaglia senza sapore, omologandola alla povertà di certi contenuti che circolano nella grande Rete. La competenza nell’uso dei mezzi di comunicazione deve andare di pari passo con la conoscenza dei contenuti da trasmettere e con la carica umana che non deve mancare nemmeno quando la testimonianza è affidata ad un messaggio digitale. Senza dimenticare che il Vangelo di Gesù ricerca come massima espressione di evangelizzazione e testimonianza l’incontro dei volti e delle persone. Una seconda verità importante che oggi ci viene ricordata e confermata è data dalla consapevolezza che dobbiamo avere che il Signore Gesù è sempre con noi, ogni volta che annunciamo il Vangelo. Tante volte proviamo scoraggiamento nel vedere la nostra fatica e i nostri fallimenti nell’opera educativa che svolgiamo a servizio del Vangelo. La tentazione più forte è quella di pensare di essere da soli, invece – dobbiamo esserne certi – Gesù abita anche le situazioni di sconfitta che ci pare di dover registrare. E con la sua presenza ci aiuta, anzi, a saper cogliere i piccoli segni di vittoria nella nostra azione pastorale, ci sprona a proseguire, a mettere ancora in campo il nostro entusiasmo di discepoli e testimoni cristiani.