Quarta Domenica di Pasqua. Voce, recinto e porta…

Gesù oggi ci parla di recinto e di porta. Per forza, sta parlando di pecore, e fa riferimento a situazioni che poteva vedere ogni giorno. Noi non siamo abituati a veder greggi di pecore e, quando ne passa uno per la strada, fa subito notizia come un fatto eccezionale. Però, abbiamo un’idea negativa delle pecore e del gregge e associamo quest’immagine a una sorta di rinuncia alla libertà. Del resto, quando uno segue pedissequamente quello che un altro gli dice, diciamo che è un «pecorone». Quando alcune persone stanno insieme, si muovono insieme e fanno tutte le stesse cose senza alcuna creatività, diciamo subito che «hanno la mentalità del gregge». Un discorso come quello di Gesù non solo non sarebbe stato capito nemmeno oggi, ma sarebbe stato oggetto di feroce critica sociale. E infatti non è raro che qualche intelligentone dipinga i cristiani come pecoroni e il cristianesimo come tipica mentalità del gregge. Forse, qualche volta la colpa è nostra, perché appariamo proprio così. È chiaro che almeno noi dobbiamo capire che cosa intenda Gesù con queste parole, per non rischiare di finire lontano dal pastore e fuori dal recinto.

Al centro c’è una voce che viene riconosciuta come attendibile e degna di fiducia. È la voce del buon pastore Gesù e «le pecore ascoltano la sua voce… lo seguono perché conoscono la sua voce». Mi è capitato anni fa di essere su una strada dell’Appennino. Un gregge di pecore molto numeroso aveva invaso la carreggiata e gli animali si erano rinchiusi sempre più a gomitolo, per difendersi anche dai maldestri tentativi degli automobilisti inferociti che gridavano e davano pacche alle pecore per spostarle. Nulla. Anzi, le pecore impaurite belavano e si stringevano sempre più. Ad un certo punto, da molto lontano si è udita una voce che ha gridato una sola parola apparentemente senza senso. Non ha fatto in tempo a ripeterla la seconda volta che il gomitolo di pecore aveva già cominciato a sciogliersi. Avevano riconosciuto la voce del pastore! Poco più avanti, lungo quella stessa strada, ho visto un recinto per le pecore e ho notato quanto era stretta la porta di entrata e uscita: vi passava a malapena una sola pecora. In quel modo però il pastore poteva contarle una ad una. Per il pastore – lo dice Gesù nella pagina evangelica odierna – non esiste il gregge, ma le pecore, una ad una: «egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori».

La voce, dunque, catalizza la fiducia ed il recinto è garanzia di libertà. Noi abbiamo paura dei recinti come di strutture che limitano la nostra libertà, invece Gesù parla del recinto delle pecore come luogo di salvaguardia della libertà, luogo di creazione delle condizioni che ci permettono di uscire dal recinto e di pascolare. La porta stretta – anch’essa per noi sinonimo solo di costrizione – è in verità il luogo dell’incontro personale, il luogo in cui smettiamo di essere massa indistinta e in cui il pastore ci chiama per nome. Comprendiamo allora perché Gesù, nel tentativo di spiegare quella immagine pastorale che non è stata capita, applica a sé una similitudine proprio in riferimento alla porta e non solo al pastore: «Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, entrerà e uscirà e troverà pascolo». Come a confermarci che nella vita si entra solo attraverso Gesù, giacché, lui per primo, è passato per la porta, come fa il pastore, mentre ladri e briganti entrano da un’altra parte. La porta delle pecore nel nostro itinerario pasquale richiama al legno della croce, quel passaggio stretto che ha permesso a Gesù di entrare nel pascolo della vita eterna, aprendone anche a noi la possibilità. Dice infatti di noi: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Direi che questa similitudine pastorale del pastore e della porta dovrebbe diventare nostra anche per impostare le nostre relazioni educative, spesso annacquate e improvvisate. La libertà dei nostri figli non la costruiamo lasciando le briglie sciolte e aspettando che siano essi a scegliere quello che vogliono (ma che purtroppo non sanno). La libertà si costruisce essendo porta di un recinto, essendo testimoni di un cammino che noi per primi percorriamo. Solo così saremo voce attendibile, che si riconosce come vera e, quindi, si segue.

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One thought on “Quarta Domenica di Pasqua. Voce, recinto e porta…

  1. Vedere le pecore adagiate su un prato, mi da’ solitamente allegria. Sarà una vita da pecore ma non capisco perchè tanta gente si ostina a dire volgarmente che è meglio un giorno da leone che cento da pecora…..Se io sono nata pecora che colpa ne ho? Perchè è così necessario far parte di un recinto per forza? Si può benissimo ascoltare la voce del Pastore lo stesso…..Comunque i recinti non sono tutti uguali! Grazie per tutti gli aspetti che ci ha trasmesso senza offendere nessuno.

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