Noi vedenti non possiamo nemmeno immaginare che cosa significhi nascere ciechi, non avere mai visto nulla, forse nemmeno sapere il significato della parola «vedere». Quanti nascono ciechi sviluppano da subito altre forme di riconoscimento delle cose e delle persone: annusano, ad esempio, e sentono odori e profumi. Quelli che ci vedono bene rischiano, invece, di divenire insensibili agli odori e ai profumi. Ma soprattutto rischiano di considerare la vista come un’abitudine, come un possesso ed un potere, e non come un grande dono.
Che cosa succede nel racconto del cieco nato illuminato da Gesù? Succede che c’è un uomo avvolto nelle tenebre che, incontrato da Gesù, il quale gli spalma del fango sugli occhi e lo invia a lavarselo via nella piscina, comincia a vedere per la prima volta. E quest’uomo sa solo questo e continua a ripeterlo alla noia a chiunque glielo domandi, come una evidenza che non può essere negata da alcun ragionamento: «Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Succede anche che vi sono uomini che non sono ciechi, i quali però non vogliono vedere proprio l’evidenza e si condannano così ad una cecità che è peggiore di quella del povero cieco nato. Continuano a fare domande, ma poi non ascoltano se non le proprie presunzioni. Giocando sulle parole, potremmo dire che sulla scena sta un uomo che obbedisce a Gesù «ad occhi chiusi» e altri uomini che, invece, non vogliono «aprire gli occhi» su di Lui. Gesù – che compare sulla scena solo al principio e alla fine – è in verità al centro di tutto il racconto e il dibattito tra i farisei e colui che era nato cieco verte proprio su di Lui. «Non viene da Dio… è un peccatore», dicono i farisei. «Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo… Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla», dice candidamente e coraggiosamente colui che era stato cieco. Siamo di fronte ad un conflitto insanabile di opinioni, del tipo «io la penso così, tu sei libero di pensarla come vuoi»? No, è lo scontro tra la realtà e il pregiudizio, tra ciò che sta davanti ai nostri occhi e la presunzione che sta dentro la nostra mente. È proprio così: i peggiori ignoranti sono coloro che sono convinti di sapere già tutto e di averlo immagazzinato dentro il proprio cervello, quindi, se l’evidenza li smentisce, negano l’evidenza piuttosto che cambiare le loro pretese certezze. I veri ciechi – quelli inguaribili – sono coloro che credono di vederci bene e, invece, chiudono colpevolmente gli occhi davanti all’evidenza della realtà.
La tenebra da cui Gesù vuole metterci in guardia si chiama peccato. E, in effetti, la parola che ritorna più spesso nel racconto del cieco nato è proprio la parola «peccato». I discepoli all’inizio suggeriscono un legame tra la cecità fin dalla nascita di quell’uomo e il suo peccato, legame che, poi, i farisei affermano in modo anche violento: egli sarebbe nato cieco, perché «nato tutto nei peccati». E invece il vero «peccato» di cui Gesù vuole parlare è proprio il loro! Che rischia di essere anche il nostro, perché il peccato consiste nell’essere posti di fronte alla luce di Gesù e rifiutarla. Che tragedia è avere davanti agli occhi la luce di Gesù che splende – ad esempio, negli occhi aperti di un cieco nato – e ostinarsi a non volerla vedere! Capite, il peccato è una cosa strana: basta ammettere che si è peccatori per poterne essere liberati dal Cristo Gesù; basta riconoscere la propria tenebra per attingere alla sua Luce; invece, se si continua imperterriti a ritenersi già nella verità, a non ammettere di essere peccatori, allora sì che il peccato rimane. È quello che Gesù dice ai farisei che avevano cacciato il cieco risanato: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
All’avvicinarsi della Pasqua, sentiamoci tutti come peccatori che alla nascita hanno ricevuto la luce del Battesimo e che possono ancora lavarsi a quella piscina salutare del sacramento della Penitenza a cui il Signore amorevolmente ci invia. Nella nostra cecità, annusiamo la presenza del Salvatore nostro e accostiamoci a Lui, pregandolo così: «Signore Gesù, grazie per il profumo delle cose buone e belle del mondo. Ti prego: donami sempre l’umiltà di riconoscermi peccatore per sperimentare il profumo del tuo perdono. Amen».