«Occhio per occhio e dente per dente» è un’espressione che conosciamo bene, ma che giudichiamo in modo sbagliato. Crediamo che sia una norma di giustizia vendicativa: ho ricevuto un pugno, ho diritto a darne uno. È così, ma il motivo di tale norma – conosciuta come «legge del taglione» – è appunto una esigenza di giustizia, per evitare che l’offesa subita si trasformi in ritorsione sproporzionata: ho ricevuto un pugno, ho diritto di ucciderti. Oggi si avverte la mancanza di una norma, pur così rudimentale nel suo meccanismo morale: quante volte sentiamo che un delitto è stato consumato in seguito ad una semplice parola avventata o ad uno sguardo troppo audace. Si arriva ad uccidere per un complimento fatto alla fidanzata o per uno sgarbo personale, in una spirale di violenza che, una volta avviata, non si arresta più e non conosce proporzione tra offesa e vendetta. Questo non vale solo per i rapporti tra singoli, ma anche nelle relazioni tra gruppi e nazioni: la guerra – o la guerriglia urbana – diventa così lo strumento per risolvere gli screzi, le diversità di opinione, o per dare seguito a divisioni radicate nel passato dentro uno schema di memoria dei torti che il tempo non è riuscito a sanare e che una semplice scintilla è stato in grado di rigenerare. La «legge del taglione», quindi, rappresenta già un richiamo all’agire proporzionato per evitare derive vendicative: devi fare qualcosa di proporzionato a ciò che ricevi, evitando ogni eccesso nella richiesta di riparazione di un danno subito.
Gesù non vuole abolire questa legge e sostanzialmente afferma che è giusto fare altrettanto, ma mentre «avete inteso che fu detto» di misurarlo in senso negativo, «io vi dico» di porre attenzione al positivo dell’altrettanto. C’è nelle parole paradossali di Gesù una specie di ribaltamento della prospettiva: «Se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due». Lui ti ha costretto per un miglio, tu gliene regali un altro! Gli dai altrettanto, secondo la «legge del taglione», ma tu glielo doni, mentre lui ti ha costretto. Lui ti ha dato uno schiaffo e tu gli doni una guancia. La concretizzazione finale della norma è pertanto positiva: «Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle». Quello che vuole veramente insegnarci Gesù – con il suo perentorio «Ma io vi dico» – è che l’unica proporzione veramente umana è l’amore.
E proprio sull’amore Gesù affonda il suo insegnamento, giungendo all’affermazione decisiva. Già nella legge che Dio ha dato al suo popolo attraverso Mosè – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal libro del Levitico – è chiaro il comandamento dell’amore, che ha come fondamento la santità di Dio: «Siate santi, perché io, il Signore, sono santo». Siate santi – dice il Signore – e pertanto non covare odio, non vendicarti, non serbare rancore, trova il coraggio della correzione fraterna, «amerai il tuo prossimo come te stesso». Gesù radicalizza anche questo amore e lo estende a tutto il tuo prossimo, anche a quel prossimo che ti è nemico. Infatti, è facile amare chi ti ama, amare chi ti è simpatico, chi ha le tue stesse idee. L’amore deve andare oltre l’umana simpatia e consonanza. L’amore è «pregare per quelli che vi perseguitano». E Gesù, riprendendo il comandamento mosaico, lo modifica in un punto importante. L’amore che arriva sino ai nemici non è più soltanto fondato sulla perfezione di Dio, ma diventa il modo umano di essere «perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Gesù, volto umano del Padre, ci dice che possiamo imitare la perfezione di Dio, solo attraverso un amore che sappia andare oltre i confini di un semplice sentimento di gratitudine e riconoscenza verso chi già ci ama. Dio ama per primo, «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». L’amore, cioè, per Dio non è una ricompensa ma un dono, non è un premio ma è sempre un dato di partenza. Quel dato di partenza che san Paolo ci ricorda essere la nostra stessa sostanza: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? … Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio». Qui sta il punto. «Io sono mio» diciamo noi, ed è così. Ma poi Dio e Gesù Cristo restano fuori, e ciò che è dono diventa inutile proprietà!
I martiri riuscivano persino a sorridere, col sorriso raccoglievano i fiori del dolore, accettavano le ingiustizie, sopportavano la non verità che si diceva di loro, conservavano il sorriso quando sentivano delle bugie. E questa era la perfezione! camminavano in strada sorridendo anche quando erano tristi perchè sapevano che facendo così avrebbero trovato Colui che prima di loro aveva conosciuto, molto prima di loro, ogni bugia, malvagità, falsità, delusione umana. Figurarsi noi per un torto o un rancore……..