Terza Domenica del Tempo Ordinario. Periferia, universalità e ferialità…

Gesù comincia il suo ministero pubblico, e lo fa in un modo tutto particolare. Il Figlio di Dio non parte dal centro. Non è nato a Gerusalemme e non comincia a predicare a Gerusalemme. Va nella periferia di quella Palestina, che già era la periferia dell’impero romano… «Si ritirò nella Galilea e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare». Un territorio di confine, dunque, quella «Galilea delle genti» in cui si mischiavano lingue e religioni e in cui il profeta Isaia aveva previsto l’irruzione di «una grande luce» per «il popolo che camminava nelle tenebre». Ancora una volta l’incarnazione è una scelta coerente di Dio: per manifestarsi, si nasconde laddove pulsa il cuore dell’umanità. Nel fatto che Gesù diventa cittadino di Cafarnao, città sulla riva del mare, si rivela quel misterioso passaggio della storia del popolo eletto che, fino ad allora, era stata una storia di nomadi pastori che si muovevano sulla terra ed ora diventa la storia di un popolo di naviganti sul mare e pescatori. Tanto è vero che l’immagine più famosa della Chiesa è quella della nave che veleggia nel mare aperto. Periferia ed universalità, queste le caratteristiche della missione che Gesù inaugura a Cafarnao. A cui aggiungiamo subito una terza dimensione, che potremmo chiamare «ferialità». Perché i suoi collaboratori – coloro che condividono la sua missione – Gesù non va a sceglierseli nella sinagoga tra gli esperti della Scrittura (gli scribi) e i perfetti della religione (i farisei) e nemmeno nella classe dei devoti di professione (i sacerdoti). «Mentre camminava lungo il mare di Galilea», Gesù individua i primi quattro discepoli: sono pescatori di pesci a cui propone di diventare «pescatori di uomini». Sono persone normali, dedite al loro lavoro, con tante attese in cuore. Mi colpisce sempre l’uso di un avverbio di tempo in questa pagina evangelica, che è a prima vista inspiegabile: «subito». Simone e Andrea, i primi due fratelli chiamati da Gesù, «subito lasciarono le reti e lo seguirono». Anche i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, «subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono». Come è possibile tanto entusiasmo e, si direbbe, tanta imprudenza? Come si fa a lasciare «subito» quella occupazione che permetteva di vivere per seguire uno che si vede per la prima volta e di cui non si sa nulla? L’evangelista ha sicuramente voluto racchiudere in quell’avverbio – «subito» – un significato che non è tanto legato al tempo del seguire, ma alla persona di Gesù che i quattro pescatori cominciano a seguire. Lo so che non esiste in grammatica, ma quel «sempre» è un avverbio di persona e non di tempo. Vuole dirci l’evangelista – quel Matteo che a Cafarnao riscuoteva le tasse e che fu anch’egli chiamato da Gesù – che non è avendo capito tutto di Gesù che lo si segue, ma che è solo seguendolo che si può sperare di capirlo, almeno un poco. Uno dei chiamati della prima ora, Pietro, non era riuscito a capire Gesù nemmeno tre anni più tardi nel momento della sua cattura nei giorni della passione a Gerusalemme. Sappiamo che lo rinnegherà, dirà di non conoscerlo, ed è vero: non lo conosceva ancora bene! Se avesse avuto la pretesa di capire Gesù prima di seguirlo, sarebbe ancora là a gettare le reti in mare, a Cafarnao. Invece, lo seguì «subito», affascinato dalla sua persona, da quella proposta così sconvolgente di pescare non più pesci ma uomini.

Le tre dimensioni della missione che Gesù inaugura nella «Galilea delle genti» – periferia, universalità, ferialità – sono tuttora valide per la missione della Chiesa. Anche noi siamo chiamati ad uscire incontro all’uomo, in quelle «periferie del mondo» – come le chiama papa Francesco – che si trovano anche a pochi passi dalla porta di casa nostra. Anche noi siamo chiamati ad avere uno sguardo universale che sappia trovare il coraggio di proporre «la gioia del Vangelo» (Evangelii gaudium) ad ogni uomo, nella consapevolezza che il Vangelo di Cristo contiene una forza propria capace di fecondare il cuore. Anche noi – pur senza essere vescovi, preti o suore – dobbiamo impegnare «subito» con entusiasmo la nostra vita al servizio della Chiesa, convinti che la nostra comprensione del Vangelo aumenterà nella misura in cui staremo nella compagnia del Signore Gesù. Solo seguendolo, lo capiremo!

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