Gli abitanti di Nazaret, invece di essere contenti che Gesù è cresciuto in mezzo a loro, si scandalizzavano della sapienza di quel loro… falegname che si era messo a compiere prodigi. E Gesù, in tutta risposta, non nascondeva la sua meraviglia per tanta incredulità. In verità, al centro di questo quadretto di paese c’è un tema centrale che attraversa il vangelo: l’umiltà e la debolezza della incarnazione di Dio. Se Gesù è davvero Dio, non può essere il figlio del falegname. Eppure Dio ha proprio scelto di farsi uomo e di nascondersi in una umanità normale. Questa scelta continua ancora lungo la storia della Chiesa, formata di umanità che non riescono a nascondere le loro debolezze. E Dio continua ad abitarle e a renderle forti a modo suo. Gesù, in tal senso, è il modello di ogni cristiano.
La logica di Dio precede l’incarnazione di Gesù. La prima lettura ci ha offerto l’esempio del profeta Ezechiele, il quale è mandato da Dio in mezzo a una razza di ribelli. La cifra dell’ostinazione e della forza di Dio sta tutta in quel «ascoltino o non ascoltino». Dio non manda un profeta potente, irresistibile. No, è uno che si può anche rifiutare. Si direbbe un per-dente. La sua voce non fa stramazzare a terra. I suoi consigli non vengono eseguiti, e quella razza di ribelli resta una razza di ribelli. A che serve allora? «Sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro». A noi sembra una magra consolazione, ma a Dio interessa questa presenza netta e magari inascoltata. A Dio interessa che Ezechiele continui a parlare a suo nome, continui ad esserci, perdente forse, in mezzo a un popolo ribelle. In questo la logica di Dio è distante mille miglia dalla nostra: noi, per trovare l’applauso, siamo disposti a plasmare i messaggi sulla lunghezza d’onda degli uditori; il profeta di Dio, invece, piuttosto resta solo ed isolato, ma non modifica di una virgola il suo messaggio.
Significativa a questo riguardo è anche l’esperienza di san Paolo, apostolo di Cristo costruito sulla personalità forte del persecutore indomito, eppure lasciato a galleggiare in un mare di debolezza. Anche in questo caso la logica di Dio ci sorprende. Egli è andato a prendersi il suo apostolo migliore nella cerchia degli avversari più feroci, l’ha convertito, ma non l’ha trasformato in un supereroe, anzi gli è stata data in dote una spina nella carne. Non sappiamo esattamente a che cosa si riferisca san Paolo, ma era evidentemente una sofferenza fisica che lo accompagnava, disturbandone l’azione, tanto da farlo implorare che quella spina fosse allontanata dalla sua carne. La risposta del Signore è disarmante: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». È una frase chiave per comprendere come deve essere l’azione del cristiano nel mondo: le due coordinate della forza del vangelo di Gesù sono la grazia di Dio e la debolezza dell’uomo. Non la debolezza da sola, quindi, ma una debolezza sostenuta dalla grazia e da essa indirizzata. E non una grazia onnipotente che attraversa l’uomo e ne esalta la forza, ma una grazia che vince solo innervando la debolezza della natura umana.
La storia della Chiesa è piena di figure che hanno lasciato un segno perenne di forza, contando esclusivamente sulle loro debolezze e sulla grazia di Dio. È piena anche, purtroppo, di figure potenti e perdenti, che sono riuscite a sviare il vangelo su strade sbagliate. La formula contenuta nell’affermazione paolina è il vero spartiacque tra una logica di forza umana ed una logica di forza divina. E la stessa logica che il Padre ha seguito con il Figlio Gesù: lo ha mandato uomo, falegname in un piccolo paese e lì nascosto per tanti anni, poi – come il profeta Ezechiele – lo ha reso motivo di scandalo a causa di una saggezza ostinata ed inesplicabile accompagnata da prodigi incomprensibili per un uomo del popolo. E san Paolo segue questo Gesù quando afferma: «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo… infatti, quando sono debole, è allora che sono forte». Ammettiamolo, queste parole fatichiamo a farle nostre. Ma anche Paolo faticò a scriverle ai cristiani di Corinto. Se nella vita ci fanno compagnia le debolezze, non temiamo, ma lasciamo che la grazia di Dio le trasformi nella sua forza.